DIRITTO – LEGGE

SINOSSI

La radice del diritto nasce dal diritto a procurarsi attraverso le proprie forze fisiche e intellettuali quanto serve per mantenere e migliorare la propria esistenza, la legge rende quell’agire non arbitrario, ossia rispettoso dello stesso diritto in capo ad altri. Per evitare che alcuni gruppi organizzati legiferino a misura dei propri bisogni e desideri a discapito di altri, servono dei limiti al potere legislativo. La Costituzione, il Federalismo, la carta dei diritti individuali (Bill of rights), sono alcuni dei più importanti strumenti elaborati nel corso della nostra storia per limitare il potere dei legislatori e l’azione dei governi; solo così l’obbedienza alla legge è sentita come espressione di libertà individuale (Legum omnes servi simus ut liberi esse possimus, siamo tutti sottoposti alla legge per poter essere liberi – Cicerone -). La stessa funzione viene anche svolta dal carattere evolutivo della nostra produzione legislativa. Dal diritto romano al common law, le leggi sono diventate espressione di principi astratti e generali nella misura in cui: da un lato, sono continuamente rivisitate e rivitalizzate attraverso il confronto con la tradizione, e dall’altro, vengono costantemente verificate mediante l’applicazione dei principi generali in sentenze puntuali – da parte di giudici – non da legislatori vincolati a mandati di partito temporali. Da questo punto di vista il diritto e le leggi sono creazioni non intenzionali della storia umana, che si sviluppano attraverso il pungolo della libertà individuale. Questa tradizione evoluzionista del diritto ben si distingue dal cosiddetto “diritto positivo”, nato dal desiderio di affermare gli interessi di una parte (la classe, la razza, il censo ecc.) sull’altra; ma anche dal cosiddetto “diritto naturale” e il suo richiamarsi a presunte autorità soprannaturali (religiose o filosofiche).

 

CITAZIONI

Ayn Rand – La virtù dell’egoismo – (pag. 110 e 111 e 122)

Il diritto alla vita è l’origine di tutti i diritti, mentre il diritto di proprietà ne rappresenta l’attuazione. In assenza di diritti di proprietà non è possibile l’esistenza di alcun diritto. Giacché l’umanità deve sostenersi in vita grazie alla propria opera, l’uomo che non ha diritto ai frutti del proprio lavoro non ha i mezzi per tenersi in vita. L’uomo che produce mentre gli altri dispongono del frutto della sua fatica è uno schiavo. Ricordate che il diritto di proprietà è un diritto all’azione, come tutti gli altri: non è un diritto a un oggetto, bensì all’azione o alle conseguenze di produrre o guadagnare tale oggetto. Non è la garanzia che un uomo guadagnerà una qualsiasi proprietà, ma solo che la guadagnerà se l’avrà meritata. Si tratta del diritto di ottenere, di conservare, di usare e di disporre di valori materiali. Il concetto di diritto individuale è così nuovo nella storia dell’umanità che ancora oggi moltissima gente non l’ha compreso appieno. In accordo con le due teorie dell’etica, quella mistica e quella sociale, alcuni asseriscono che i diritti sono un dono di dio, altri che sono un dono della società. Di fatto, tuttavia, l’origine dei diritti risiede nella natura umana…

La Dichiarazione d’Indipendenza americana stabilì il principio che “i governi vengono istituiti tra gli uomini al fine di garantire tali diritti”. Quest’affermazione forniva l’unica giustificazione valida per un governo e ne definiva il solo scopo corretto: proteggere il diritto dell’uomo proteggendo questi dalla violenza fisica. In tal modo il ruolo del governo venne cambiato da quello di padrone a quello di servitore. Il governo era costituito per proteggere l’uomo dai criminali e la Costituzione venne scritta per proteggere l’uomo dal governo. Il Bill of rights non era diretto contro i privati cittadini, bensì contro il governo, come esplicita dichiarazione del fatto che i diritti individuali prevalgono su qualsiasi potere pubblico o sociale…

… Quando la costituzione di un paese pone i diritti individuali fuori dalla portata dell’autorità pubblica, la sfera del potere politico risulta fortemente delimitata e quindi per i cittadini diventa sicuro e giusto accettare di obbedire alle decisioni della maggioranza in questa sfera ben delimitata. La vita e i beni delle minoranze o dei dissidenti non sono in gioco, non sono assoggettate all’esito di un voto e non sono messe in pericolo dalla decisione della maggioranza. Nessun uomo o nessun gruppo dispone di un assegno in bianco circa il potere sugli altri.

Benjamin Constant – Principi di politica – (pag. 51)

I diritti individuali si compongono di tutto ciò che resta indipendente dall’autorità sociale. Nell’ipotesi che ho presentato nel capitolo precedente, i diritti individuali consisterebbero nel fare tutto ciò che non nuoce agli altri, ovvero nella libertà d’azione; nel diritto di non essere costretti ad alcuna professione di fede di cui non si sia convinti (fosse anche quella della maggioranza), ovvero nella libertà religiosa; nel diritto di manifestare il proprio pensiero con tutti i mezzi di espressione, a condizione che ciò non arrechi danno ad alcun individuo e non provochi alcuna azione colpevole; infine, nella certezza di non essere trattati arbitrariamente, come se si fossero passati i limiti dei diritti individuali, vale a dire nella garanzia di non potere essere arrestati, detenuti o giudicati se non secondo le leggi e nel rispetto delle forme.

Friedrich A. von Hayek – La società libera – (pag. 382 – 281 e 283)

Il primo punto da sottolineare è che, siccome significa che le pubbliche autorità non devono mai esercitare la coercizione su un individuo, se non quando applicano una norma nota, il governo della legge costituisce una limitazione di tutti i poteri dello stato, inclusi i poteri del legislativo. E’ una dottrina di quello che dovrebbe essere la legge, dei caratteri generali che dovrebbero possedere le leggi particolari. E’ importante sottolinearlo perché oggi l’idea del governo della legge viene a volte confusa con la pura esigenza di legalità in tutta l’azione dello stato. Ovviamente il governo della legge presuppone la sua completa legalità. Ma la legalità non gli è sufficiente. Se una legge desse alle pubbliche autorità l’illimitato potere di agire a suo piacimento, tutti gli atti di queste sarebbero legali, ma non sarebbero certo sotto il governo della legge. Questo è pertanto qualcosa in più del costituzionalismo: esige che tutte le leggi si conformino a certi principi. Poiché costituisce una limitazione imposta a tutta la legislazione, il governo della legge non può essere esso stesso una legge nel medesimo senso della legge approvate dal legislatore. Le norme costituzionali possono rendere più difficile le violazioni del governo della legge. Possono servire ad evitare violazioni involontarie fatte da una routine legislativa. Ma il legislatore più elevato non può mai limitare con una legge il suo potere, perché potrà sempre abrogare qualsiasi legge da lui approvata. Se così è, il governo della legge non è propriamente un governo del diritto esistente, ma un principio relativo a ciò che la legge dovrebbe essere, una dottrina giuridica o un ideale politico; e sarà efficace finché il legislatore se ne sentirà vincolato. Ciò significa che in democrazia non prevarrà, se non diventerà parte della tradizione morale della comunità, un ideale comune condiviso e indiscutibile accettato dalla maggioranza…

…Per l’individuo sapere che talune norme sono universalmente osservate è importante, perché da ciò segue che i diversi scopi e le diverse forme d’azione acquistano per lui proprietà nuove. Egli conosce le relazioni di cause ed effetto imputabili all’uomo e di cui può servirsi per tutti i fini che vuole. Gli effetti di queste leggi, prodotto umano, sulle sue azioni sono esattamente dello stesso tipo di quelli delle leggi di natura: la conoscenza di entrambe gli permette di prevedere quali saranno le conseguenze delle sue azioni e lo aiutano a predisporre fiduciosamente i suoi piani. C’è poca differenza per lui tra il sapere che, se accenderà un falò sul pavimento del suo salotto, la sua casa brucerà e il sapere che, se darà fuoco alla casa del suo vicino, si troverà in prigione. Come le leggi di natura, le leggi dello stato presentano caratteristiche stabili nell’ambiente in cui l’individuo deve muoversi; sebbene eliminino talune scelte a lui possibili, di regola non limitano la scelta a un’azione specifica che qualcuno pretende da lui. La concezione della libertà sotto il governo della legge, che è la principale preoccupazione di questo libro, si basa sull’asserzione che quando obbediamo alle leggi, intese come norme generali e astratte senza tenere conto della loro applicazione a noi, non siamo soggetti alla volontà di altri e pertanto liberi. Poiché il legislatore non conosce tutti i casi individuali, a cui la legge sarà applicata, e il giudice che le applica non ha nessuna possibilità di scelta nel tirare le conclusioni (che derivano dalle leggi vigenti dagli aspetti specifici del caso in giudizio), si può affermare che le leggi e non gli uomini governano. La legge non è arbitraria proprio perché la norma è stabilita nell’ignoranza del caso particolare e nessuna volontà umana decide la coercizione usata per garantirla…

…il regno delle leggi generali, delle norme uguali per tutto o, potremmo dire, del governo delle leges nel senso originario del termine latino; ossia leges come opposto a privi-leges.

Frédéric Bastiat – Ciò che si vede e ciò che non si vede – (pag. 180)

Se fate delle leggi, per tutti i cittadini, il palladio della libertà e della proprietà, se essa è soltanto l’organizzazione del diritto individuale di legittima difesa, fonderete sulla giustizia un governo razionale, semplice, economico, compreso da tutti, gradito a tutti, utile a tutti, sostenuto da tutti, caricato di una responsabilità perfettamente definita e molto ristretta, dotato di una solidità incrollabile. Se, al contrario, fate delle leggi, nell’interesse dell’individuo o delle classi, uno strumento di spoliazione, ciascuno inizialmente vorrà fare la legge, ciascuno in seguito vorrà farla a suo profitto. Ci sarà calca alla porta del palazzo legislativo, ci sarà lotta accanita all’interno, anarchia negli spiriti, il naufragio di qualsiasi moralità, la violenza nella gestione degli interessi, roventi lotte elettorali, accuse, recriminazioni, gelosie, odi inestinguibili, la forza pubblica messa a servire rapacità ingiuste anziché contenerle, le nozioni di vero e di falso cancellati da tutti gli spiriti, come le nozioni di giusto e di ingiusto cancellate da tutte le coscienze, ci sarà un governo caricato della responsabilità di tutte le esistenze e piegato sotto il peso di tale responsabilità, rovine sulle quali verranno a sperimentarsi tutte le forme di socialismo e di comunismo: tali sono i flagelli che non può non liberare la perversione della legge.

Friedrich A. von Hayek – Nuovi studi di filosofia, politica, economia, e storia delle idee – (pag. 89 – 90)

Questa distinzione tra nomoi in quanto norme universali di comportamento e le thesis in quanto norme di una organizzazione, corrispondono grosso modo alla distinzione familiare tra diritto privato (compreso quello penale) e diritto pubblico (costituzionale e amministrativo). Esiste molta confusione tra questi due tipi di norme e leggi, confusione alimentata dai termini impiegati e dalle teorie fuorvianti del positivismo giuridico (a sua volta conseguenza del ruolo predominante degli esperti di diritto pubblico nell’evoluzione della giurisprudenza). Il diritto pubblico viene rappresentato come primario e, in un certo senso, come l’unico che serva il pubblico interesse, mentre il diritto privato è considerato come secondario e derivato dal primo, e inoltre al servizio di interessi non generali ma individuali. Il contrario, tuttavia, sarebbe più vicino al vero. Il diritto pubblico è quello dell’organizzazione della sovrastruttura di governo originariamente eretta solo per garantire l’applicazione del diritto privato. E’ stato detto a ragione che il diritto pubblico passa, mentre il diritto privato rimane. Qualunque sia la struttura mutevole di governo, la struttura di base della società fondata sulle norme di condotta rimane. Il governo, quindi, ha l’autorità e il diritto all’obbedienza dei cittadini solo se conserva le fondamenta di quell’ordine spontaneo sulla quale poggia il funzionamento della vita quotidiana della società. Se il diritto pubblico viene ritenuto preminente si deve al fatto che esso è stato creato deliberatamente per fini particolari, attraverso atti di volontà, mentre il diritto privato è il risultato di un processo evoluzionistico e non è mai stato scoperto né progettato nel suo insieme da nessuno. E ‘ stata la sfera del diritto pubblico quella in cui è prevalsa l’attività legislativa (law-making) vera e propria, mentre nella sfera del diritto privato si è assistito per millenni a un processo di ricerca giuridica (law-finding) in cui i giudici e i giuristi hanno cercato di articolare le norme che avevano già governato, per lunghi periodi, l’azione e il “senso di giustizia”. Anche se dobbiamo rivolgerci al diritto pubblico per scoprire quali norme di comportamento debba applicare, in pratica, un’organizzazione, non necessariamente al diritto pubblico deve la sua autorità il diritto privato. Per quanto esista una società spontaneamente ordinata, il diritto pubblico organizza semplicemente l’apparato necessario per un migliore funzionamento di quel più ampio ordine spontaneo. Esso determina una sorta di sovrastruttura eretta principalmente per proteggere un ordine spontaneo preesistente e per applicare le norme su cui questo poggia. Giova ricordare che il concetto di legge nel senso di nomos (cioè di norma astratta non dovuta alla volontà concreta di qualcuno, applicabile in casi particolari indipendentemente dalle conseguenze, un legge che poté essere “trovata”, e non creata per particolari fini prevedibili) è esistito e si è tramandato assieme all’idea di libertà individuale, solo in luoghi, quali l’antica Roma e la moderna Gran Bretagna, in cui lo sviluppo del diritto privato si è basato su sentenze di giudici, che hanno avuto forza di legge (common low), e non su disposizioni di legge, è stato cioè nelle mani di giudici o giuristi non di legislatori.

Friedrich A. von Hayek – La società libera – (pag. 333 e 343)

L’idea di una legge superiore che limita la legislazione corrente è molto antica. Nel XVIII secolo, era comunemente concepita come la legge divina o naturale o razionale. Ma l’idea di rendere esplicita e applicabile questa legge stendendola per iscritto, sebbene non del tutto nuova, fu messa in pratica per la prima volta dai coloni rivoluzionari. Le singole colonie in verità fecero i primi esperimenti; e fecero approvare questa più elevata legge da una base popolare più ampia di quella necessaria per la legislazione ordinaria. Ma l’esempio che avrebbe poi profondamente influenzato il resto del mondo fu la Costituzione Federale. La differenza fondamentale tra una costituzione e le leggi ordinarie è analoga a quella che esiste tra le leggi in generale e la loro applicazione da parte dei tribunali a un singolo caso: come nel decidere su casi concreti, il giudice è vincolato da norme generali, così il legislativo, nel fare particolari leggi, è vincolato dai principi più generali della costituzione. Analoga in entrambi casi è la giustificazione di queste distinzioni: come una decisione giudiziaria è considerata giusta solo se conforme a una legge generale, così le leggi particolare sono considerate giuste solo se conformi a principi più generali…

…E’ noto che da Madison “venne l’idea che creare garanzie adeguate dei diritti individuali e dare adeguati poteri al governo nazionale fosse in fin dei conti lo stesso problema, giacché un governo nazionale rafforzato avrebbe potuto essere un contrappeso alle eccessive prerogative dei legislativi degli stati”. Si fece così la grande scoperta di cui Lord Acton più tardi disse “Di tutti i controlli alla democrazia, il federalismo è stato il più efficace e il più conseguente…il sistema federale limita e frena il potere sovrano, dividendolo, e assegnando al governo solo certi diritti. E’ l’unico metodo non solo per frenare la maggioranza, ma il potere di tutto il popolo e fornisce la più solida base per una seconda camera, che si è scoperta essere garanzia essenziale di libertà in qualsiasi vera democrazia”.

Edmund Burke – Ricorso dai nuovi agli antichi Whigs – (pag. 571 – 573)

La teoria contenuta in questo libro non vuole fornire principi per una nuova costituzione, ma illustrare i principi di una costituzione già stabilita. E semmai una teoria derivata dal fatto del nostro governo. Quelli che vi si oppongono dovranno dimostrare che la teoria è conforme a quel fatto; altrimenti non disputeranno con un libro, ma con la costituzione medesima del loro paese. Il fine supremo di una costituzione mista qual è la nostra è quello di impedire che uno dei suoi principi raggiunga gli estremi a cui, preso in sé medesimo, potrebbe teoricamente estendersi. Una volta concesso che questa è la vera linea direttiva del sistema politico inglese, si vedrà che molti degli errori che gli si imputano non sono imperfezioni in cui è inavvertitamente caduto, ma perfezione che ha accuratamente ricercato. Per evitare le perfezioni degli estremi, tutte le sue parti sono costituite così da non potere soltanto adempiere i propri fini diversi, ma anche limitare e controllare le altre; nel senso che, prendete non importa quale principio, ne troverete a un certo punto le azioni controllate e arrestate. L’intero meccanismo si ferma piuttosto che permettere ad una parte di procedere oltre propri limiti. Da qui risulta che la costituzione britannica, come colui che contempla il mondo materiale nel suo rapporto di subordinazione, sarà sempre oggetto di curiosa indagine lo scoprire il segreto di questa curiosa mutua limitazione,

Da quale legge sia limitata la potenza di ciascuna cosa, e perché vi sia preposto un termine dall’alto? (Lucrezio, De rerum Natura)

Quelli che hanno agito, come in Francia, su un piano completamente differente, tendendo all’astratta e illimitata perfezione del potere nella parte popolare, non possono esserci di alcuna utilità in nessuno dei nostri accomodamenti politici. Quelli che nella loro precipitosa carriera hanno oltrepassato il fine stesso non possono costituire esempio per quelli che non vogliono spingersi oltre. La temerarietà di questi speculatori non è un esempio superiore da quelli fornito dalla timidezza di altri. Gli uni disprezzano il diritto, gli altri lo temono, ambedue lo ignorano. Ma quelli che oltrepassano violentemente le barriere sono i più pericolosi, perché, per spiegarsi al di là di essa, sovvertono e distruggono. Il dire che hanno spirito non significa niente di lodevole. L’immoderato spirito della follia, della cecità, dell’immortalità e dell’empietà non merita elogio alcuno. Quegli che mette a fuoco la casa solo perché ha le dita gelate non può essere un adatto istruttore del metodo di provvedere le nostre abitazioni di calore allegro e confortevole. Non abbiamo bisogno di esempi straniere per riattivare in noi il fuoco della libertà. L’esempio dei nostri antenati è più che sufficiente a mantenere nel suo pieno vigore lo spirito di libertà e moderarlo in tutte le sue azioni. Solo l’esempio di uno spirito di libertà saggio, morale e benevolo può esserci utile, o presentarsi almeno come rispettabile e sicuro. Il nostro edificio è costruito in tal modo, una parte di esso ha tanta attinenza con l’altro, e queste parti sono a tal punto create l’una per l’altra, e per nient’altro, che l’introdurre in esso un materiale estraneo vorrebbe dire distruggerlo. Quel che è stato detto dell’Impero Romano è altrettanto vero della costituzione britannica: “questa compagine si è costituita con la fortuna di ottocento anni, e non potrà essere distrutta senza la rovina dei distruttori.” Questa costituzione inglese non è stata foggiata a caldo da una schiera di uomini presuntuosi simili all’assemblea di azzeccagarbugli di Parigi.

Non è il prodotto affrettato di un solo giorno, ma il frutto maturo di un saggio indugio. (Tacito, Historie)

E’ il risultato della meditazione di molti uomini e per molte età. Non è una cosa semplice e superficiale, né può essere compresa da menti superficiali.

Friedrich A. von Hayek – Legge, legislazione e libertà – (pag. 111 – 112 e 153 e 259 e 542)

Il diritto consiste in regole che prescindono da uno scopo, che governano la reciproca condotta degli individui, che sono intese applicarsi ad un numero ignoto di casi possibili, e che, definendo per ciascuno un dominio riservato, rendono possibile il formarsi d’un ordine delle azioni entro cui gli individui possono concepire dei piani realizzabili. Si è soliti riferirsi a tali regole come a regole astratte di condotta, e sebbene tale descrizione sia inadeguata, la utilizzeremo provvisoriamente per i nostri scopi attuali. Il punto particolare che vogliamo qui sviluppare è che un diritto, quale il common law, emergente da un processo di decisioni giudiziali, è di necessità astratto, mentre così non è per il diritto creato dai comandi di un legislatore… Questo significa che fa parte della tecnica del giudice di common law il dover essere capace di astrarre, dai precedenti che lo guidano, regole di significato universale applicabili a nuovi casi futuri…

…In ultima analisi, la differenza di condotta che emergono da un processo di decisioni giudiziali, il nomos o la legge della libertà considerata in questo capitolo, e le regole di organizzazione statuite dall’autorità, che dovremo considerare nel prossimo capitolo, si trova nel fatto che le prime derivano dalle condizioni di un ordine spontaneo che nessuno ha creato, mentre le seconde servono alla deliberata costituzione di un’organizzazione volta a raggiungere obiettivi specifici. Le prime vengono scoperte, sia nel senso in cui esse sono semplicemente la formulazione di modi d’agire già osservati nella pratica, sia nel senso per cui esse vengono scoperte in quanto complementi necessari delle regole già consolidate affinché l’ordine che su esse si basa possa funzionare scorrevolmente ed efficacemente…Viceversa, le regole di organizzazione che tendono a risultare particolari sono libere invenzione della mente progettatrice dell’organizzatore…

…l’approccio evoluzionistico al diritto (e a tutte le altre istituzioni sociali), qui difeso, ha poco in comune con le teorie razionaliste del diritto naturale o del positivismo giuridico. Infatti, esso rifiuta sia l’interpretazione del diritto come costruito da una forza sovrannaturale sia l’interpretazione come costruzione razionale di una qualsiasi mente umana. Non si colloca né all’interno del positivismo giuridico, né all’interno della maggior parte delle teorie del diritto naturale, ma differisce da entrambe secondo una dimensione diversa da quella in cui queste teorie differiscono l’una dall’altra…L’uomo non ha adottato nuove regole di condotta perché era intelligente. E’ diventato intelligente sottomettendosi a nuove regole di condotta.

Friedrich A. von Hayek – Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee – (pag. 91 – 92)

Alcune osservazioni rilevano le tendenze dominanti del nostro tempo più chiaramente che non il comprendere che il progressivo confondersi e la graduale sostituzione del diritto privato con quello pubblico fanno parte del processo di trasformazione di un ordinamento libero, spontaneo della società in un’organizzazione o taxis. Questa trasformazione è il risultato di due fattori che hanno governato lo sviluppo per più di un secolo; da una parte, la crescente sostituzione delle norme di comportamento individuale giusto (guidate dalla “giustizia commutativa”) con i concetti di giustizia “sociale” o “distributiva”; e, dall’altra, il conferimento del potere di stabilire nomoi (cioè norme di comportamento giusto) all’organismo incaricato della direzione del governo. E’ stata soprattutto la fusione di questi due compiti, essenzialmente diversi, nelle stesse assemblee “legislative”, che ha eliminato quasi completamente la distinzione tra legge in quanto regola universale di comportamento e legge in quanto istruzione per il governo su cosa fare in casi particolari. L’obiettivo dei socialisti, cioè l’equa distribuzione del reddito, conduce necessariamente ad una simile trasformazione dell’ordine spontaneo in organizzazione; infatti, solo in una organizzazione orientata verso una gerarchia comune di fini, e nella quale gli individui devono eseguire determinati compiti, si può dare un significato al concetto di “giusta” ricompensa. In un ordine spontaneo, nessuno “distribuisce”, o addirittura può prevedere, i risultati che saranno prodotti, per individui o gruppi particolari, dal mutamento nelle circostanze, né si può conoscerà la giustizia se non come complesso di norme di condotta individuale giusta, e non come risultato. Una tale società presuppone certamente la convinzione che la giustizia, nel senso di norma di condotta giusta, non sia una parola vuota; ma l’espressione “giustizia sociale” rimane un concetto vuoto finché l’ordine spontaneo non sia completamente trasformato in un’organizzazione totalitaria i cui compensi vengono dati dall’autorità per meriti acquisiti nello svolgimento di doveri da essa stessa assegnati. La giustizia “sociale” o “distributiva” è la giustizia di una organizzazione, ma è priva di significato in un ordine spontaneo.

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