SINOSSI
L’interesse, l’egoismo, trovano il proprio fine nella felicità individuale. Essere felici significa perseguire quei beni quelle relazioni che si valuta di più e rifuggire ciò che si valuta di meno. Si è disposti a sacrificare un bene minore oggi per uno maggiore domani, in questo modo l’azione diventa morale, non è il sacrificio in sé ad essere morale, ma il sacrificio in vista di un bene superiore a porre le basi della morale. Di norma l’altruismo può essere un effetto della condivisione di valori uguali, mai un fine del proprio agire; solo dalla stima di sé stessi e della propria vita può nascere lo stesso sentimento verso la condizione altrui. Pertanto, il capitalismo – ossia quel sistema che spinge gli individui a servire i desideri altrui per perseguire il proprio interesse – è per sua natura morale. Viceversa, il socialismo – imponendo la rinuncia dell’interesse individuale a favore di un indefinibile interesse collettivo – riduce l’individuo a mezzo ed è intimamente immorale. La libertà e la felicità che guidano l’azione individuale diventano, nell’azione collettiva, a prescindere dalle intenzioni che spesso ispirano queste filosofie sociali, abnegazione e sottomissione ad interessi e valori alieni alla propria esperienza personale. In questo modo si finisce per distruggere il bene più prezioso dell’uomo, la propria integrità, vale a dire il perseguimento attraverso l’azione inflessibile e indomita dei propri valori.
CITAZIONI
Adam Smith – La ricchezza della nazione – (pag. 480 e 832)
Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo, e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi. Nessuno che non sia un mendicante dipende principalmente dalla benevolenza dei suoi concittadini…
…Ogni individuo si sforza di impiegare il proprio capitale in modo che il suo prodotto possa essere di grandissimo valore. Generalmente non intende né promuovere il pubblico interesse, né sa quanto lo sta promuovendo. Si prefigge solo la sua sicurezza, solo il suo guadagno. In ciò è guidato da una mano invisibile per prefiggersi un fine, che non ha nessun interesse della sua intenzione. Perseguendo il suo interesse spesso promuove quello della società più efficacemente di quanto realmente intenda promuoverlo.
Ayn Rand – La virtù dell’egoismo – (pag. 14 e 43 e 51)
Il fatto che ciò che intendo con “egoismo” è ben diverso dal significato convenzionalmente attribuito a tale termine rappresenta uno dei più gravi capi d’accusa a carico dell’altruismo: significa che l’altruismo non permette di concepire un uomo capace di sostenersi autonomamente e di rispettare sé stesso, un uomo che si mantiene in vita grazie ai propri sforzi e non sacrifica sé stesso né gli altri. Significa che l’altruismo non permette altra visione degli uomini se non come animali sacrificali e profittatori del sacrificio altrui, se non come vittime e parassiti che non permettono di concepire una benevola coesistenza tra gli uomini, non permette di concepire la giustizia. Se vi domandate per quali ragioni gran parte dell’umanità debba trascorre la propria esistenza in un’orrenda miscela di cinismo e colpa, questa è la risposta: essa vive nel cinismo perché non pratica né accetta la morale altruistica, e nella colpa perché non osa rifiutarla. Per ribellarsi contro una piaga così devastante e necessario ribellarsi contro la premessa fondamentale. Per redimere sia l’uomo che la moralità è necessario riabilitare il concetto di egoismo…
… Nelle questioni spirituali, chi scambia è un uomo che non cerca di essere amato per le proprie debolezze o per i propri difetti, ma solo per le proprie virtù, che non accorda il suo amore alle debolezze o difetti degli altri, ma solo alle loro virtù. Amare significa attribuire valore. Solo un uomo razionalmente egoista, un uomo che ha stima di sé, è capace di amore, perché è il solo uomo capace di sostenere valori fermi, coerenti, senza compromessi né tradimenti. L’uomo che non dà valore a sé stesso non può dare valore a nulla né a nessuno. E’ solo sulla base dell’interesse egoistico, ossia sulla base della giustizia, che gli uomini possono vivere insieme in una società libera, pacifica, prospera, benevola, razionale. Può l’uomo derivare un qualunque beneficio personale dal vivere in una società umana? Sì, se si tratta di una società umana. I due grandi valori di cui beneficiare dall’esistenza sociale sono: conoscenza e scambio. L’uomo è la sola specie che può trasmettere ed espandere la sua quantità di conoscenza di generazione in generazione; la conoscenza potenzialmente disponibile è più grande di quella che un individuo potrebbe sperare di acquistare in tutto il corso della sua vita; ogni uomo trae un beneficio incalcolabile dalla conoscenza scoperta dagli altri. Il secondo grande beneficio è la divisione del lavoro: essa mette l’uomo in grado di dedicare i propri sforzi a un particolare campo di lavoro e scambiare con altri individui specializzati in altri campi…
… L’amore e l’amicizia sono valori profondamente personali ed egoistici: l’amore è l’espressione e l’asserzione della stima di sé, una risposta ai propri valori che si riconoscono in un’altra persona. Si ricava una profonda gioia, personale ed egoistica, dalla semplice esistenza della persona amata. Quello che cerchiamo, ricaviamo e otteniamo dall’amore è una felicità personale ed egoistica. Un amore “disinteressato” e “altruista” è una contraddizione in termini: significa essere indifferenti a ciò che si stima. La preoccupazione per il benessere di coloro che ci sono cari costituisce una parte razionale dei propri interessi egoistici. Se un uomo appassionatamente innamorato della propria moglie spende una fortuna per curarla da una grave malattia, sarebbe assurdo affermare che tale comportamento rappresenta un “sacrificio” per il bene di lei, mentre per lui personalmente ed egoisticamente, non fa alcuna differenza che la moglie viva o muoia. Qualsiasi azione intrapresa per il bene di coloro che si amano non è un sacrificio se in seguito a tale azione una persona ottiene quanto, nella gerarchia dei propri valori, nel contesto globale delle scelte possibili, è per essa della massima importanza personale (e razionale). Per l’uomo dell’esempio appena menzionato, la sopravvivenza della moglie ha un valore superiore a quello di tutto quanto potrebbe acquistare con il proprio denaro, ha la massima importanza per la propria felicità e, quindi, la sua azione non è un sacrificio.
Ludwig von Mises – Socialismo – (pag. 499 – 500)
Agire razionalmente significa sacrificare le cose meno importanti a quelle più importanti. Noi facciamo sacrifici momentanei allorché rinunciamo a piccole cose per ottenerne di grandi, come quando smettiamo di bere alcolici per sfuggire ai loro deleteri effetti fisiologici. Gli uomini sopportano le fatiche del lavoro per non morire di fame. Comportamento morale è il nome che diamo a sacrifici momentanei fatti nell’interesse della cooperazione sociale, la quale è il mezzo principale attraverso cui i bisogni umani e in genere la vita umana possono venire soddisfatti. Ogni etica è etica sociale. (Che si possa considerare come morale quell’azione razionale, diretta unicamente al bene individuale, e che si possa parlare di etica individuale e di doveri verso sé stessi è un fatto che non si potrebbe contestare; in effetti, questo modo di esprimersi meglio delle espressioni da noi usate che il comportamento dell’individuo e l’etica sociale sono basati sullo stesso ragionamento.) Agire razionalmente significa sacrificare le cose meno importanti, rendendo possibile la cooperazione sociale. Il difetto fondamentale della maggior parte dei sistemi di etica anti-utilitaristica consiste nell’errata interpretazione del significato di sacrifici momentanei che il dovere richiede. In essi non viene capito lo scopo del sacrificio e della rinuncia al piacere, e ricostruisce un’assurda ipotesi secondo cui il sacrificio e la rinuncia sono moralmente validi in sé stessi. Siffatti sistemi di etica anti-utilitaristica elevano l’altruismo, il sacrificio di sé stessi e la compassione – che porta appunto all’altruismo e al sacrificio di sé stessi – al rango di valori morali assoluti. La sofferenza che inizialmente accompagna il sacrificio è definita morale proprio in quanto è penosa – cosa che pressappoco equivale a dire che ogni azione penosa per chi la compie è un’azione morale. Dalla scoperta di questa confusione possiamo vedere perché vari sentimenti e azioni che sono socialmente neutrali o addirittura dannosi sono giunti ad essere considerati morali. Naturalmente però anche un’argomentazione di questo tipo non può evitare di tornare furtivamente alle idee utilitaristiche. Se non vogliamo esaltare la pietà di un medico che, per evitare sofferenze al paziente, si rifiuta di intraprendere un’operazione che potrebbe salvargli la vita, e distinguiamo, perciò, tra vera e falsa pietà, noi reintroduciamo l’idea teleologica del fine che avevamo cercato di eliminare. Se lodiamo l’azione altruistica, allora non si esclude l’idea che il benessere umano costituisca un fine. E’ così che si crea un utilitarismo negativo: noi dobbiamo considerare come morale non l’azione che giova alla persona che agisce ma l’azione utile agli altri. Si costituisce così un ideale etico che non può essere calato nel mondo in cui viviamo. Per questo, di conseguenza, avendo condannato la società basata sull'”egoismo”, il moralista procede a costruire una società in cui gli esseri umani debbano essere tali quali il suo ideale li vuole. Egli comincia col fraintendere il mondo e le sue leggi; e poi spera di costruire un mondo che corrisponda alle sue false teorie, e chiama tutto questo col nome di instaurazione di un ideale morale. L’uomo non è cattivo perché ricerca il piacere ed evita il dolore, perché, in altre parole egli vuole vivere. La rinuncia, l’abnegazione, il sacrificio di sé stessi non sono buoni in sé stessi. Condannare l’etica richiesta dalla vita sociale sotto il capitalismo e mettere al suo posto standard di condotta morale che – almeno si crede – potrebbero essere adottati sotto il socialismo, è un’idea puramente arbitraria.
Frédéric Bastiat – Armonie economiche – (pag. 587)
La comunità sola deve decidere di tutti, regolare tutto: educazione, nutrimento, salari, piaceri, locomozione, affezioni, famiglie ecc. ecc. Ora la società si esprime con la legge, la legge è il legislatore. Ecco dunque un gregge e un pastore, – meno ancora di questo, una materia inerte e un artefice. Si vede dove conduce la soppressione della responsabilità e dell’individualismo. Per nascondere questo spaventevole fine agli occhi del volgo, bisognava lusingare, declamando contro l’egoismo, le passioni più egoistiche. Il socialismo ha detto ai disgraziati: “Non esaminate se voi soffrite in virtù della legge di responsabilità. Ci sono dei fortunati sulla terra, in virtù della legge di solidarietà essi vi devono la divisione della loro felicità.” E per arrivare a questo brutale livellamento di una solidarietà fittizia, ufficiale, legale, sforzato, deviato dal suo senso naturale, si erigeva la spoliazione in sistema, si falsava ogni nozione di giusto, si esaltava quel sentimento individualistico – che si aveva l’aria di proscrivere – sino al più alto grado di potenza e di perversità. Perciò tutto si concatena: negazione delle armonie della libertà nel principio – despotismo e schiavitù nel risultato, – immoralità nei mezzi.
Frédéric Bastiat – Sofismi economici – (pag. 99 – 101)
Io so che si rimprovererà (è la moda del giorno) di porre per fondamento della fratellanza dei popoli l’interesse, il vile e prosaico interesse. Si preferirebbe che questa avesse il suo fondamento nella carità, nell’amore, che ci fosse anche un po’ di abnegazione, e che, urtando il benessere materiale degli uomini, essa avesse il merito di un generoso sacrificio. Quando la smetteranno con queste puerili declamazioni? Quando bandire finalmente dalla scienza l’ipocrisia? Quando smetteremo di mettere questa nauseante contraddizione tra i nostri scritti e le nostre azioni? Noi fischiamo e contestiamo l’interesse, cioè l’utile, il bene (poiché dire che tutti i popoli sono interessati ad una cosa è come dire che quella cosa è buona in sé), come se l’interesse non fosse il movente necessario, eterno, indistruttibile, al quale la provvidenza ha affidato la perfettibilità umana! Possiamo forse dire di essere noi tutti come angeli perfettamente disinteressati? Non vi accorgete che il pubblico comincia già a vedere con disgusto questo linguaggio artefatto che riempie di inchiostro le pagine che si fanno pagare più care? Ipocrisia! Finzione! Sei la vera malattia del nostro secolo. Quindi, poiché la felicità e la pace sono cose collegate tra di loro, poiché è piaciuto a dio stabilire questa bella armonia nel mondo morale, volete che io non ammiri, che non adori i suoi decreti, e che non accetti con gratitudine quelle leggi che fanno della giustizia la condizione della felicità? Non volete la pace se non a patto che non contrasti con il benessere, e la libertà vi pesa perché non impone sacrifici? E chi vi impedisce, se l’abnegazione ha per voi così tante attrattive, di metterne nelle vostre azioni private? La società ve ne sarà riconoscente, poiché qualcuno almeno ne raccoglierà il frutto; ma volerla imporre all’umanità come principio è il colmo dell’assurdo, poiché l’abnegazione di tutti è il sacrificio di tutti, il male eretto a teoria. Ma grazie al cielo, si possono scrivere e leggere molti ragionamenti simili senza che per questo il mondo cessi di ubbidire al suo movimento, che è, lo si voglia o no, l’interesse. Dopo tutto, è abbastanza singolare vedere invocare i sentimenti della più sublima abnegazione in appoggio alla spoliazione. Ecco pertanto a cosa giunge questo fastoso disinteresse! Questi uomini così poeticamente delicati, che non vogliono che la stessa pace tra i popoli sia fondata sul vile interesse degli uomini, mettono la mano nelle tasche altrui, e soprattutto in quella del povero; quale voce della tariffa doganale protegge infatti il povero? Eh! Signori, fate quello che volete di ciò che vi appartiene, ma lasciateci pure disporre del frutto delle nostre fatiche, servircene o scambiarlo a nostro piacere. Declamate pure riguardo alla rinuncia a sé stessi, è una bella cosa, ma al tempo stesso siate almeno onesti.
Friedrich A. von Hayek – Legge, legislazione e libertà – (pag. 464 – 465)
E’ facile sapere perché un individuo debole trae spesso conforto dal sapere che fa parte di un gruppo organizzato comprendente individui con scopi comuni, e che, in quanto tale, è più forte di qualsiasi altro individuo. E’ tuttavia illusorio credere che, se tutti gli interessi fossero organizzati così, ne ricaverà vantaggi, o anche in generale i più possono trarre vantaggi a spese di pochi. L’effetto di una tale organizzazione sulla società in generale, sarebbe di rendere il potere più oppressivo, e non più debole. Sebbene a quel punto i gruppi contino più degli individui, i piccoli gruppi potrebbero ancora essere più potenti di quelli grandi, semplicemente perché i primi sono più facilmente organizzabili o la loro produzione è più indispensabile di quella globale dei gruppi più grandi… L’importanza e il rispetto per gli organi collettivi è il risultato di un’idea, comprensibile ma errata, secondo cui più il gruppo cresce, più i suoi interessi corrispondono a quelli di tutti. Il termine “collettivo” è stato investito della stessa aurea di approvazione che ispira il termine “sociale”. Ma non è vero che gli interessi collettivi dei vari gruppi siano simili agli interessi della società nel suo insieme – è vero anzi l’opposto. Mentre si può dire approssimativamente che l’egoismo individuale porta, in molti casi, ad agire in modo da preservare l’ordine spontaneo della società, l’egoismo di un gruppo chiuso, o il desiderio dei suoi membri di divenire un gruppo chiuso, sarà sempre in opposizione al vero interesse comune dei membri di una Grande Società. Ciò è stato già chiaramente messo in evidenza dall’economia classica ed espresso ancor meglio dalla moderna analisi marginalista. L’importanza di un servizio particolare reso da un qualsiasi individuo ai membri di una società è sempre e soltanto l’ultima (o marginale) aggiunta a tutti i servizi di quel genere; e se ciò che qualsiasi membro della società prende dall’insieme dei prodotti e servizi deve essere tale da lasciare il più possibile agli altri, ciò che richiede che non i gruppi in quanto tali, ma gli individui che li compongono, tramite il loro libero movimento fra essi, lottino per rendere i propri rispettivi più cospicui possibile. L’interesse comune dei membri di qualunque gruppo organizzato è, tuttavia, quello di far corrispondere il valore dei loro servizi non all’importanza dell’ultimo incremento, ma a quello della somma dei servizi resi dal gruppo degli utenti. I produttori di cibo o energia elettrica, trasporti o servizi medici e così via, si sforzeranno di usare il loro potere congiunto di determinare il volume di tali servizi per ottenere un prezzo molto superiore a quello che i consumatori sarebbero preparati a pagare per il loro incremento ultimo o marginale. Non vi è un rapporto necessario tra l’importanza globale del tipo di bene o servizio e l’importanza della quantità marginale fornita. Se avere del cibo è essenziale alla sopravvivenza, ciò non significa che la quantità marginale di cibo sia più importante della produzione della quantità marginale di un altro bene frivolo, o che la produzione di cibo debba esse remunerata meglio di quella di cose la cui esistenza è certamente molto meno importante della disponibilità di nutrimento in quanto tale. L’interesse specifico dei produttori di cibo, elettricità, trasporti o servizi medici, dovrà tuttavia essere remunerata non soltanto rispetto al valore marginale del tipo di servizio reso, ma rispetto al valore che la fornitura totale di servizi in questione ha per gli utenti. L’opinione pubblica, che vede ancora il problema in termini di importanza del tipo di servizio, tende di conseguenza ad appoggiare tali richieste perché ritiene che la remunerazione debba essere adeguata all’importanza assoluta del bene in questione. E’ solo attraverso lo sforzo dei produttori marginali, che possono guadagnarsi da vivere offrendo i propri servizi ad un valore inferiore a quello che i consumatori sarebbero disposti a pagare se la fornitura totale fosse inferiore, che si può essere certi dell’abbondanza e dell’aumento di opportunità per tutti. Gli interessi collettivi dei gruppi organizzati sono invece sempre contrari all’interesse generale, e mirano ad evitare che questi individui marginali aggiungano qualcosa alla produzione totale. Qualsiasi controllo esercitato dai membri di un sindacato o professione sui beni e i servizi totali forniti sarà quindi sempre contrario al vero interesse generale della società, mentre gli interessi egoistici dell’individuo lo condurranno normalmente a portare quei contributi marginali il cui costo è approssimativamente pari al prezzo a cui sono venduti.
Frédéric Bastiat – Armonie economiche – (pag. 599 – 600)
E’ vero che l’interesse personale è la causa di tutti i mali, come di tutti i beni imputabili all’uomo. E non può mancare di essere così, poiché esso determina tutti i nostri atti. Vedendo la qual cosa alcuni pubblicisti, non hanno saputo immaginare nulla di meglio, per tagliare il male nella sua radice, che soffocare l’interesse personale. Ma siccome così essi avrebbero distrutto il movente stesso della nostra attività, hanno pensato a dotarci di un movente differente: la abnegazione, il sacrificio. essi hanno sperato che d’ora innanzi tutte le transazioni e combinazioni sociali si compiranno, per loro ordine, sul principio della rinuncia a sé medesimo. Non si ricercherà più la felicità propria, ma la felicità altrui, gli avvertimenti della sensibilità non conteranno più per nulla, e nemmeno le pene e le ricompense della responsabilità. Tutte le leggi della natura saranno rovesciate; lo spirito di sacrificio sarà sostituito allo spirito di conservazione, in una parola, nessuno penserà più alla propria personalità se non per affrettarsi di consacrarla al bene comune. E’ da tale trasformazione del cuore umano che certi pubblicisti, i quali si credono religiosissimi, aspettano la perfetta armonia sociale. Essi dimenticano di dirci come intendano di operare questo preliminare indispensabile, la trasformazione del cuore umano. Se sono abbastanza pazzi per intraprenderla, certamente non saranno abbastanza forti per effettuarla. Ne vogliono la prova? Ne comincino il saggio su loro medesimi; si sforzino di soffocare nel loro cuore l’interesse personale, in modo che più non si mostri negli atti più ordinari della loro vita. Essi non tarderanno a riconoscere la loro impotenza. Come dunque pretendono essi imporre a tutti gli uomini senza eccezione una dottrina alla quale essi medesimi non possono sottomettersi? Confesso che mi è impossibile di vedere qualche cosa di religioso, se non l’apparenza e tutta al più l’intenzione, in quelle teorie affettate, in quelle massime ineseguibili che si predicano a fior di labbra, senza mancare di agire come il volgo. E’ dunque la vera religione che ispira a questi economisti cattolici quell’orgoglioso pensiero, che dio a malamente fatto l’opera sua e che tocca a loro rifarla? Bossuet non pensava così quando diceva: “L’uomo aspira alla felicità, esso non può non aspirarvi.” Le declamazioni contro l’interesse personale non avranno mai una grande importanza scientifica; perché esso è per natura sua indistruttibile, o almeno non lo si può distruggere nell’uomo senza distruggere l’uomo medesimo. Tutto quello che possono fare la religione, la morale, l’economia politica, è d’illuminare questa forza impulsiva, di mostrare non solamente le prime, ma anche le ultime conseguenze degli atti che essa determina in noi. Una soddisfazione superiore e progressiva dietro a un dolore passeggero, un patimento lungo e continuativo aggravato dopo un piacere di un istante, ecco in conclusione il bene e il male morale. Ciò che determina la scelta dell’uomo verso la virtù, sarà l’interesse elevato, illuminato, ma in sostanza sarà sempre l’interesse personale.
Ayn Rand – La virtù dell’egoismo – (pag. 53)
Usiamo l’esempio preferito dagli altruisti, ossia la questione del soccorrere una persona in procinto di annegare, per illustrare il concetto appena esposto. Se la persona da salvare è un perfetto estraneo, è moralmente corretto soccorrerla solo se il pericolo per la propria vita è minimo. Se il pericolo è grande, tentare il soccorso sarebbe immorale: solo una completa mancanza di stima di sé può permettere di valutare la propria vita quanto quella di un qualsiasi estraneo. (e, d’altra parte, se stiamo annegando, non possiamo aspettarci che un estraneo rischi la vita per il nostro bene, in quanto la nostra vita non può essere, ai suoi occhi, importante quanto la sua). Se la persona da salvare non è un estraneo, allora il rischio che si è disposti a correre cresce in proporzione al valore che tale persona ha per noi. Se si tratta dell’uomo o della donna che amiamo, allora si può essere disposti a perdere la vita nel tentativo di salvare la sua, per l’egoistica ragione che la vita senza la persona amata sarebbe insopportabile. Viceversa, se un uomo sa nuotare ed è in grado di salvare la moglie, ma si lascia prendere dal panico, cedendo a una ingiustificata irrazionale paura, e la lascia annegare, per poi trascorre il resto della sua vita nella solitudine e nell’infelicità, non lo si può certo definire “egoista”. Lo si dovrebbe invece condannare perché è venuto meno a sé stesso e ai propri valori, ossia per la sua capacità di combattere per la conservazione di un valore essenziale per la sua felicità. Dobbiamo ricordare che si agisce sempre allo scopo di ottenere o conservare un valore e che la felicità dev’essere raggiunta grazie ai propri sforzi. La felicità rappresenta lo scopo morale della propria vita; di conseguenza, chi non riesce a raggiungerla a causa delle proprie mancanze, a causa della propria incapacità di combattere per essa, è moralmente colpevole. La virtù relativa all’aiuto che si può prestare a chi si ama non è il “disinteresse”, né il “sacrificio”, bensì l’integrità. L’integrità è la fedeltà alle proprie convinzioni e ai priori valori; consiste nell’agire in accordo con i propri valori, nell’esprimerli, difenderli e tradurli in realtà.