SINOSSI
La relazione tra uomo e natura è simile a quella tra parte e tutto, l’uomo non aggiunge nulla alla natura e il fine di questa non sono i bisogni umani. All’uomo, attraverso la speculazione, non è concesso di conoscere la natura in sé per sé, può al massimo delineare la propria natura umana attraverso la relazione che egli instaura con il mondo naturale e i propri simili. Se è vero che l’uomo non può né conoscere né dominare la natura essendone parte, attraverso la sua azione intelligente l’uomo la può modificare e asservire parzialmente ai suoi fini, questo però nella misura in cui saprà agire nel rispetto delle leggi naturali a cui tutti siamo vincolati. Mentre alla natura nulla si può togliere né aggiungere, con la cultura il discorso cambia radicalmente. La cultura come le altre grandi istituzioni umane è un’opera non riducibile alla mente di un singolo, si accumula e trasmette per prova ed errore attraverso il lavoro della tradizione. Da questo punto di vista ogni tradizione culturale per realizzarsi ha bisogno di un certo grado di cooperazione sociale e quindi di quell’umiltà intellettuale, che da Socrate in poi sono stati ingredienti imprescindibili per la crescita della conoscenza. Ed è proprio per questo suo essere un processo collettivo, che non si pone limiti e direzioni precostituite ad alimentare lo sviluppo della cultura. Ma se la cultura e la civiltà nel suo complesso sono un’opera collettiva, ogni particolare avanzamento è sempre riconducibile al genio creativo del singolo, che attraverso la critica o l’innovazione della tradizione la fa progredire, e le fa supera i limiti raggiunti fino a quel momento. Un terreno coltivato per un verso raccoglie il lavoro, l’intelligenza, la passione di millenni; per l’altro si mantiene progredisce per opera del singolo, che con le sue idee, nell’inseguire il suo benessere e la sua libertà, lo prepara senza saperlo per le future generazioni.
CITAZIONI
David Hume – Trattato sulla natura umana (pag. 541 e 545)
Ma, prima di inoltrarmi nell’immensa profondità della filosofia che si spalanca di fronte a me, avverto il desiderio di fermarmi qui un momento a riflettere sul viaggio appena intrapreso, e che indubbiamente richiede la più grande delle arti e operosità per essere concluso felicemente. Ora, io ho di me stesso l ‘immagine di un uomo, il quale, dopo aver cozzato in molti scogli, ed evitato a malapena il naufragio passando in una secca, conservi ancor la temerarietà di mettersi per mare con lo stesso battello sconquassato, con l’intatta ambizione di tentare il giro del mondo nonostante queste disastrose circostante. Il ricordo degli errori e delle perplessità passate mi inducono a diffidare dell’avvenire. La mia apprensione è aumentata dalla condizione disagevole, l’infiacchimento e il disordine delle facoltà coinvolte nelle mie ricerche. E l’impossibilità di fare ammenda o correggerle mi riduce quasi alla disperazione, al punto che preferirei perire all’istante, sulla nuda pietra in cui mi trovo ora, piuttosto che avventurarmi in quell’oceano sconfinato, che prelude all’immensità. L’improvvisa vista del pericolo mi colma di malinconia: essendo solitamente questa una passione viziata più di ogni altra, io non posso fare a meno di alimentare la mia disperazione con tutte quelle deprimenti riflessioni che il presente argomento mi fornisce in abbondanza…
…Non posso negare di nutrire la particolare curiosità di conoscere i principi morali del bene e del male, la natura e i fondamenti del governo, e la causa delle varie passioni e inclinazioni che mi muovono e mi governano. Non mi è facile pensare di approvare un oggetto e di disapprovarne un altro; di chiamare bella una cosa e deforme un’altra; di decidere in merito al vero e al falso, alla ragione e alla follia, senza conoscere su quali principi potermi fondare. Mi riferisco alla condizione delle persone istruite, che tuttavia ignorano tutti questi particolari. Sento sorgere in me l’ambizione di contribuire all’istruzione del genere umano, e che il mio nome venga ricordato per le mie invenzioni e le mie scoperte. Questi sentimenti, nella mia attuale condizione, sgorgano spontaneamente; e se cercassi di bandirli impegnandomi in altri affari o distrazioni, sento che rinuncerei proprio all’aspetto piacevole: questa è l’origine della mia filosofia…Quanto a me, la mia unica speranza è di contribuire in minima parte al progresso della conoscenza, imprimendo, a riguardo di alcuni particolari, una nuova svolta alla speculazione dei filosofi, e indicando loro più distintamente gli unici argomenti in cui è lecito aspettarsi sicurezza e convinzione. La Natura Umana è la sola scienza dell’uomo; e tuttavia è ancora la più trascurata.
Frédéric Bastiat – Armonie economiche – (pag. 187)
Un’altra osservazione dovuta a G. B. Say, e che salta agli occhi per la sua evidenza, sebbene spesso da molti autori trascurata, è che l’uomo non crea né i materiali né le forze della natura, se si prende la parola creare nel suo significato rigoroso. Questi materiali, queste forze esistono per sé medesimi. L’uomo si limita a combinarli, a collocarli per vantaggio proprio od altrui. Se è per vantaggio proprio, egli rende servizio a sé medesimo. Se è per vantaggio altrui, egli rende servizio ai suoi simili ed è in diritto di esigere un servizio equivalente; donde segue pur anche che il valore è proporzionale al servizio reso, e non affatto all’utilità assoluta della cosa. Perché questa utilità può essere, nella massima parte, il risultato dell’azione gratuita della natura, nel qual caso il servizio umano, il servizio oneroso e remunerabile è di poco valore. Ciò risulta dall’assioma qui sopra stabilito: per condurre una cosa allo stato compiuto di utilità, l’azione dell’uomo è in ragione inversa dell’azione della natura. Tale rovescia la dottrina che colloca il valore nella materialità delle cose. E’ il contrario che è vero. La materialità è una qualità data dalla natura e per conseguenza gratuita, priva di valore, quantunque di una utilità incontestabile. L’azione umana, la quale non può mai arrivare a creare materia, costituisce solo il servizio che l’uomo isolato rende a sé medesimo, o che gli uomini in società si rendono gli uni agli altri; ed è nella libera estimazione di quei servizi che sta il fondamento del valore; lungi dunque che, come voleva lo Smith, il valore non si possa concepire se non incorporato con la materia: tra materia e valore non ci sono relazioni possibili.
Eugen von Böhm Bawerk – Teoria positiva del valore – (pag. 9 – 10)
Produrre! Che significa ciò? Che la creazione di beni non sia produzione di materie per l’innanzi inesistente, non creazione nel vero senso del termine, ma possa essere soltanto un modellare di forme più vantaggiose la materia indistruttibile, è stato ripetuto più volte che qui e pleonastico insistervi. Più giustificata, ma anche più travisabile, è l’espressione frequente che l’uomo nella produzione “domina” le forze della natura e le “volge” a proprio vantaggio. Se si volesse intendere con questa frase che l’uomo possa sostituire comecchessia la sua volontà sovrana alle leggi naturali per l’innanzi dominanti e coartarle col suo arbitrio, ciò sarebbe assolutamente errato. Che il signore della creazione lo voglia o no, gli atomi della materia rimarranno sempre indifferenti alle sue forze per seguire le immutabili leggi della natura. Il ruolo che compete all’uomo nella produzione è molto più modesto, si limita semplicemente a combinare le forze naturali di cui esso, frammento di natura a sua volta, dispone, e precisamente in modo che dalla cooperazione delle forze combinate risulti necessariamente, in conformità delle leggi di natura, proprio la forma materiale desiderata. La formazione dei beni rimane così a dispetto dell’uomo, un processo puramente naturale; questo non è affatto pregiudicato da lui, ma completato, in quanto sa inserire abilmente le proprie forze naturali per colmare le lacune offerte dalle condizioni naturali alla formazione di un bene materiale.
Luigi Einaudi – Lezioni di politica sociale – (pag. 11 – 12)
Non è vero che la terra, almeno quella che noi conosciamo nei paesi civili e in particolare in Italia, sia un dono della natura. Un grande italiano, un grande patriota, dell’epoca del Risorgimento, Carlo Cattaneo, ha scritto che la terra non è una creazione è una costruzione. Nella natura non esistono terre coltivabili; ci sono soltanto paludi, foreste, deserti, terre incolte improduttive. Il terreno che noi conosciamo in Italia è frutto di secoli, anzi di millenni di fatica, di intelligenza, di sacrifici, delle generazioni passate di italiani. Se gli uomini di oggi si ostinassero a non volere pagare nulla per il suo uso, chi vorrebbe ancora fare risparmi e impiegarli a mantenere nello stato attuale ed a migliorare continuamente la terra? In pochi anni – bastano pochissimi anni a distruggere il lavoro di generazioni – la terra ritornerebbe allo stato selvatico improduttivo.
Friedrich A. von Hayek – La società libera – (pag. 88 e 91)
Il fuorviante effetto dell’approccio usuale appare chiaramente, se studiamo il significato dell’affermazione secondo cui l’uomo ha creato la civiltà e pertanto può anche mutare a piacere le istituzioni. Questa affermazione avrebbe una sua giustificazione solo se l’uomo avesse deliberatamente creato la civiltà, sapendo perfettamente cosa stesse facendo o, almeno sapendo chiaramente come si riesca a conservarla. In un certo senso, è ovviamente vero che l’uomo ha creato la sua civiltà. Essa è un prodotto delle sue azioni o, piuttosto, dell’azione di qualche centinaio di generazioni. Ma ciò non significa che la civiltà sia esecuzione di un disegno umano e neanche che l’uomo sappia da cosa dipende il suo funzionamento o la sua ininterrotta esistenza. La concezione di un uomo già dotato di un intelletto capace di immaginare la costruzione della civiltà e di crearla è fondamentalmente falsa. L’uomo non ha semplicisticamente imposto al mondo un modello creato dalla sua mente. La sua mente è essa stessa un sistema che, nel tentativo di adattarsi all’ambiente circostante, cambia di continuo. Sarebbe un errore credere che, per realizzare una più alta forma di civiltà, dovremmo solo mettere in pratica le idee che oggi ci guidano. Se vogliamo progredire, dobbiamo lasciare posto alla continua revisione delle nostre idee attuali, resa necessaria dalle future esperienze. Siamo così poco capaci di immaginare quel che la civiltà sarà o potrà essere fra cinquecento anni o anche cinquant’anni, quanto lo furono i nostri antenati medievali o persino i nostri nonni, che non seppero certo prevedere il nostro sistema di vita di oggi. L’idea di un uomo che deliberatamente costruisce la sua civiltà deriva da un intellettualismo errato che considera la ragione umana come qualcosa al di fuori della natura e provvista di una conoscenza e di una capacità intellettiva indipendenti dall’esperienza. Ma lo sviluppo della mente umana è parte dello sviluppo della civiltà; e lo stato della civiltà in qualsiasi momento determina la portata e le possibilità di fini e valori umani. La mente non può mai prevedere il proprio progresso. Dobbiamo sempre lottare per la realizzazione dei nostri scopi attuali, ma dobbiamo anche dar modo alle nuove esperienze e agli eventi futuri di decidere quali di tali obiettivi sarà realizzato…
…Il rapido avanzamento economico che ci siamo abituati ad aspettarci pare, in larga misura, effetto di questa disuguaglianza e impossibile senza di essa. Il progresso non può avanzare così rapidamente su un fronte uniforme, ma si afferma necessariamente a scaglioni, alcuni molto più avanzati di altri. La ragione di ciò è nascosta dalla nostra abitudine a considerare il progresso economico soprattutto come accumulazione di sempre maggiori quantità di beni e di attrezzature. L’aumento del nostro tenore di vita è tuttavia dovuto, per lo meno in egual misura, a una crescita della conoscenza che ci permette non solo un maggior consumo delle stesse cose, ma di utilizzare cose diverse che spesso prima nemmeno conoscevamo. E, sebbene l’incremento del reddito dipenda in parte dall’accumulazione di capitale, è probabile che dipenda ancor di più dalla nostra capacità di imparare a servirci delle nostre risorse con più efficacia e per nuovi fini. La crescita della conoscenza ha particolare importanza perché, mentre le risorse naturali rimangono sempre scarse e dovranno essere conservate per scopi limitati, gli usi di una nuova conoscenza (quando non li rendiamo artificialmente scarsi con brevetti e monopoli) sono illimitati. La conoscenza una volta acquisita, è gratuitamente disponibile a beneficio di tutti. Con questo dono gratuito della conoscenza, acquisita con gli esperimenti di alcuni membri della società, si rende possibile il progresso generale e le acquisizioni conseguite dalle generazioni precedenti facilitano l’avanzamento delle generazioni successive.
Ludwig von Mises – Teoria e storia – (pag. 296 – 297)
Non riescono a comprendere che l’istruzione può trasmettere agli allievi soltanto la conoscenza degli insegnati. L’istruzione crea discepoli, imitatori e seguaci della routine, non crea pionieri di nuove idee e geni creativi. Le scuole non sono vivai di progresso e miglioramento ma custodi della tradizione e dell’uniformità di pensiero. La caratteristica della mente creativa e di sfidare una parte di ciò che ha imparato o, per lo meno di aggiungere un qualcosa di nuovo. Si interpretano in modo totalmente errato le imprese di un pioniere riducendole all’istruzione che egli ha ricevuto dai suoi insegnanti. Per quanto efficace possa essere la formazione scolastica, essa produce soltanto il ristagno, l’ortodossia e la rigida pedanteria se non esistessero uomini straordinari che vanno al di là della saggezza dei loro precettori. Il modo migliore di sbagliarsi sul significato della storia e dell’evoluzione della civiltà è quello di concentrare l’attenzione sui fenomeni di massa e trascurare i singoli uomini e le loro imprese. Nessun fenomeno di massa può essere adeguatamente studiato senza analizzare le idee sottostanti. E nessuna nuova idea proviene dalla mistica delle masse… Il bambino neonato eredita dai suoi antenati le caratteristiche fisiologiche della specie. Non eredita le caratteristiche ideologiche dell’esistenza umana, il desiderio di apprendere e conoscere. Ciò che distingue l’uomo civilizzato da un barbaro deve essere ogni volta acquistato nuovamente da ogni individuo. Per impadronirsi dell’eredità spirituale dell’uomo è necessario uno sforzo prolungato e faticoso. La cultura personale è più di una semplice famigliarità con lo stato attuale della scienza, della tecnologia e delle questioni civiche. E’ più della conoscenza dei libri e dei quadri e dell’esperienze dei viaggi e delle visite dei musei. E’ l’assimilazione delle idee che hanno destato l’umanità dalla routine inerte di una semplice esistenza animale verso una vita di ragionamento e speculazione. E’ lo sforzo dell’individuo di umanizzarsi prendendo parte alla tradizione di tutto il meglio che le generazioni precedenti hanno tramandato.
Margaret Thatcher
Cura i tuoi pensieri: diventeranno le tue parole; cura le tue parole: diventeranno le tue azioni; cura le tue azioni: diventeranno le tue abitudini; cura le tue abitudini: diventeranno il tuo carattere; cura il tuo carattere diventerà il tuo destino. Diventiamo quello che pensiamo. (Ethos anthropoi daimon, Il carattere di un uomo è il suo destino – Eraclito -).
Edmund Burke – Riflessioni sulla Rivoluzione Francese – (pag. 225 – 226)
La scienza che insegna a costruire uno stato a rinnovarlo o a riformarlo è una scienza sperimentale, e come tale non si può insegnare a priori. Ne basta una breve esperienza a rendercene edotti, perché gli effetti reali di cause morali non sono sempre immediati, tanto è vero che quanto ci appare inizialmente deleterio può alla lunga produrre risultati finali eccellenti, spesso germogliati dai cattivi effetti prodotti inizialmente. Spesso ci troviamo di fronte al contrario, quando dei piani perfettamente ragionevoli che si presentano molto bene all’inizio ci regalano degli effetti vergognosi e rattristanti. Negli stati esistono spesso delle cause oscure e latenti, di poca importanza a prima vista ma di cui, a ben guardare, dipendono essenzialmente la prosperità o la rovina dello stato medesimo. Se la scienza di governo è quindi una scienza pratica e a volte a fini pratici, se richiede grande esperienza, più esperienza di quanto l’uomo anche più sagace e più cauto possa acquistare nel breve giro di una singola vita, con questa circospezione l’uomo dovrà accingersi al compito di abbattere un edificio, che attraverso i secoli è servito, sia pure in modo solo passabile, ad attuare i comuni propositi di una società! Dovrà guardare con timore all’opera di riedificazione, specialmente dove non lo sostenga la forza di esempi e modelli di sperimentata utilità. Questi diritti astratti, quando si introducono nella vita pratica, si comportano come quei raggi di luce che penetrano in un mezzo denso, vengono, per leggi di natura, riflessi, ma deviati dal loro diritto cammino. Così a contatto di un mezzo denso quale la complicata ed enorme massa di passioni e degli interessi umani, i diritti originali dell’uomo subiscono una tale varietà di riflessi e rifrazioni, che diviene assurdo parlare di essi come se ancora mantenessero tutta la semplicità della loro primitiva direzione. La natura dell’uomo è intricata, ed i fini della società estremamente complessi: e quindi un potere organico semplicemente sarà del tutto insufficiente al proposito di dirigere la natura umana, o la qualità dei suoi affari. Nel lanciare una nuova costituzione politica ci si fa oggi vanto del fatto che è intesa a creare un organismo di governo poco complicato; ebbene, in casi come questo genere non esito a giudicare incompetenti o negligenti i legislatori che le hanno dato vita. … I diritti di cui vociferano questi teorici sono tutti estremi: veri in quanto assoluti metafisici, ma falsi se trasportati su un piano morale e politico. I veri diritti dell’uomo risiedono in una zona media, difficile da definire ma non impossibile da percepire. I diritti dell’uomo, in una società civile, sono i suoi stessi vantaggi; e questi non vengono mai espressi in assoluto, ma risiedono una equilibrata gradazione di buono o addirittura in quanto talvolta equivalente a un compromesso tra buono e cattivo, e, perché no, anche tra due forme di cattivo. La ragione politica è un principio di calcolo: è una serie lunga di somme, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, operazioni tutte morali, e non metafisiche o matematiche, compiute in fattori squisitamente morali.
Karl R. Popper – Dopo la società aperta – (pag. 476)
Dobbiamo mantenere una mente aperta e dobbiamo sempre cercare di imparare da colore che hanno un’idea differente. Proprio per questo motivo dobbiamo rifiutare il relativismo. E’ bene dire: “Tu potresti avere ragione e io potrei avere torto“; se entrambi le parti lo dicono, questo dimostra una tolleranza reciproca. Ma per evitare il relativismo dobbiamo dire di più. Dobbiamo aggiungere: Ma potremmo entrambi sbagliare. Discutendo le cose razionalmente potremmo essere in grado di correggere alcuni dei nostri errori; forse entrambi arriveremo più vicini alla verità, o agiremo in un modo migliore”.
John M. Keynes – Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta – (pag. 458)
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, sia quando sono giuste sia quando sono errate, sono più potenti di quanto non si creda di solito. In realtà, il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si credono del tutto esenti da suggestioni intellettuali, sono abitualmente succubi di qualche economista defunto. I pazzi investiti d’autorità, che sentono “voci” nell’aria, distillano il loro delirio dall’opera di qualche accademico imbrattacarte vissuto anni prima. Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti sia esagerato in confronto alla progressiva estensione delle idee. Certo, non immediatamente, ma dopo un certo periodo; nel campo della filosofia economica e politica non sono molti coloro che sono influenzati da nuove teorie dopo aver compiuto i venticinque o i trent’anni, sicché le idee che i funzionari statali, i politici, persino gli agitatori, utilizzano per spiegare gli avvenimenti in corso non sono probabilmente le più nuove. Ma presto o tardi sono le idee, e non gli interessi costituiti, a rivelarsi nel bene e nel male pericolose.