SINOSSI
In natura il moto dei fenomeni si sviluppa attraverso relazioni causali, oggettivabili e numerabili in uno spazio definito, la matematica e la logica sono gli strumenti in grado di misurare e descrivere i fenomeni naturali. L’uomo, invece, è spinto all’azione dal desiderio di alleviare un disagio, o per accrescere il proprio benessere, l’azione si svolge nel tempo oltre che in uno spazio e tende ad un fine, è quindi sempre teleologica, anche un folle persegue i propri fini. Agire nel tempo significa: agire sul “prima”, l’idea che si ha di una data condizione esistenziale, in vista di un possibile “dopo”, l’idea che mediante quell’azione si migliori la propria condizione esistenziale. Non si ha però nessuna garanzia sui risultati dell’azione, per questo ogni azione è sempre speculazione, si scruta nel futuro per migliorare il presente. Agire nel tempo per fini individuali in competizione con altri individui, significa disporre di risorse limitate, ogni azione è quindi economica; ed anche se il mondo diventasse un luogo senza limiti di risorse, dovremmo comunque economizzare tempo. Matematica e logica sono scienze a priori come la prasseologia, mentre le prime studiando i fenomeni nello spazio e possono descriverli in modo puntuale con precise relazioni quantitative, quest’ultima studia le relazioni causali oltre che nello spazio anche nel tempo, introducendo categorie quali: individuo, fine, errore. La prasseologia può prevedere a priori, date alcune circostanze, che direzione assume quelle data azione, mai però misurarla o riprodurla in laboratorio; ecco perché l’economia, che tra le scienze sociali meglio incarna gli assunti della prasseologia, può qualificare gli effetti di una variabile – ceteris paribus – sulla direzione dei fenomeni economici, ma mai ridurre i mutamenti economici a previsioni quantitativamente definiti come fanno le scienze naturali.
CITAZIONI
Frédéric Bastiat – Armonie economiche – (pag. 556 e 597)
L’uomo è gettato su questa terra. Porta invincibilmente in sé stesso la tendenza verso la felicità e l’avversione al dolore. Poiché agisce in virtù di tale impulso, non si può negare che l’interesse personale sia il gran motore dell’individuo, di tutti gli individui e di conseguenza della società. Poiché l’interesse personale, nella sfera economica, è il motore dell’azione umana e la gran molla della società, il male deve provenirne come il bene; è in esso che bisogna cercare l’armonia e ciò che la perturba. L’eterna aspirazione dell’interesse personale è di far tacere il bisogno o più generalmente il desiderio con la soddisfazione. Tra questi due termini essenzialmente intimi ed intrasmissibili il bisogno e la soddisfazione – s’interpone il mezzo trasmissibile scambiabile: lo sforzo. Ed al di sopra dell’apparecchio sta la facoltà di paragonare, di giudicare: l’intelligenza. Ma l’intelligenza umana è fallibile. Noi possiamo ingannarci… Noi abbiamo come punto di partenza questo: l’uomo è fallibile, e dio gli ha dato il libero arbitrio, e con la facoltà di scegliere quella di ingannarsi, di prendere il falso per il vero, di sacrificare l’avvenire al presente, di cedere ai desideri irragionevoli del suo cuore ecc. L’uomo s’inganna, ma qualunque atto, qualunque abitudine ha la sua conseguenza. Con la responsabilità, noi l’ho abbiamo visto, tali conseguenze ricadono sull’autore dell’atto; una concatenazione naturale di ricompense e di pene l’attira dunque al bene e lo allontana dal male… Ora essere sensibili vuole dire essere capaci di ricever delle sensazioni discernibili, vale a dire piacevoli o penose. Da questo il benessere e il malessere. Dal momento che dio ha creato la sensibilità, egli dunque ha permesso il male o la possibilità del male. Concedendoci il libero arbitrio, egli ci ha dotato della facoltà, almeno in una certa misura, di fuggire il male e di ricercare il bene. Il libero arbitrio suppone ed accompagna l’intelligenza. Che cosa significherebbe la facoltà di scegliere se essa non fosse legata alla facoltà di esaminare, di paragonare, di giudicare? Perciò qualunque uomo che viene al mondo ci porta un motore ed una luce. Il motore è quell’impulso intimo, irresistibile, essenza di tutte le nostre forze, che ci porta a fuggire il male e a ricercare il bene. Si chiama istinto di conservazione, interesse personale o privato! Questo sentimento è stato ora screditato, ora disconosciuto, ma quanto alla sua esistenza, essa è incontestabile. Noi cerchiamo invincibilmente tutto quello che secondo le nostre idee può migliorare il nostro destino, evitiamo tutto quello che può deteriorarlo… ma non basta che l’uomo sia invincibilmente portato a preferire il bene al male, bisogna pur anche che lo discerna. A ciò dio ha provveduto dandogli quell’apparecchio complesso e meraviglioso chiamato intelligenza. Fissare la sua attenzione, paragonare, giudicare, ragionare, concatenare gli effetti con le cause, rammentarsi, prevedere, tali sono, se così ardisco esprimermi, i congegni di questo strumento ammirabile… Ma la nostra intelligenza è imperfetta. E’ soggetta all’errore.
Ludwig von Mises – The ultimate foundation of economic science – (pag. 6 e 62 – 63)
L’azione è una categoria non presa in considerazione dalle scienze naturali. Il compito degli scienziati nel loro lavoro di ricerca, di esplorazione del mondo esterno e degli eventi che lo caratterizzano, non incontra mai fenomeni quali l’azione. C’è oscillazione, c’è stimolo e reazione, e qualsiasi cosa che i filosofi potrebbero descrivere come causa ed effetto. C’è ciò che si presenta essere come una inesorabile e regolare concatenazione di fenomeni. Ci sono costanti relazioni tra entità che permettono di stabilire allo scienziato un processo chiamato misurazione. Ma non c’è nulla che possa far pensare alla ricerca di obiettivi e fini, non c’è nessun accertabile scopo. Le scienze naturali sono ricerca della causalità, le scienze dell’azione umana sono teleologiche. Nello stabilire questa distinzione tra i due campi della conoscenza umana, non intendiamo esprimere nessuna opinione inerente la questione se il corso di tutti gli eventi cosmici sia o meno determinato da un disegno divino… Lo scopo con il quale le scienze dall’azione umana si confrontano, non sono i piani e i modi di dio, ma i fini cercati dall’azione umana nel tentativo di perseguire i propri piani…
…Nelle scienze naturali una teoria può essere mantenuta solo se concorda con fatti sperimentali. Questa regola è stata per lungo tempo considerata come apodittica. Karl Popper nel 1935 nella “Logica della scoperta scientifica” ha scoperto che i fatti non possono confermare una teoria, questi possono solo confutarla. Pertanto, si è stabilito una formulazione più corretta: una teoria non può essere mantenuta se non è confutabile per mezzo dei dati dell’esperienza. In questo modo l’esperienza ha ristretto la discrezionalità degli scienziati nella costruzione di teorie. Un’ipotesi deve decadere quando gli esperimenti dimostrano che non è compatibile con i fatti stabiliti dall’esperienza. E’ chiaro che tutto questo non può essere riferito ai problemi che concernono le scienze dall’azione umana. Non ci sono da questo punto di vista cose come: fatti rilevati attraverso l’esperimento. Tutte le esperienze in questi ambiti, come è stato ripetuto più volte, sono accadimenti storici, che si traducono in esperienza di fenomeni complessi. Questo tipo di eventi non possono sottostare alla logica di ciò che le scienze naturali chiamano “esperimento”. Se si accetta la terminologia positivista, e in particolare anche quella di Popper, una teoria o un’ipotesi non è scientifica se per principio non può essere confutata dall’esperienza. Di conseguenza tutte le teorie a priori come la matematica e la prasseologia non sono scientifiche. Questo è semplicemente un gioco di parole. Nessuna persona per bene perde il suo tempo in discussioni relative a questioni terminologiche. La prasseologia e l’economia manterranno la loro primaria importanza per la vita umana e per l’azione, qualunque sia il modo utilizzato dalle persone per classificarle e descriverle. Il prestigio popolare di cui godono le scienze naturali nella nostra civiltà, ovviamente, non è semplicemente fondato sulla condizione negativa che le sue teorie non possono essere confutate. C’è il fatto, separati dalla produzione degli esperimenti di laboratorio, che le macchine e tutti gli altri marchingegni in accordo con le tecniche scientifiche vanno nella direzione anticipata sul terreno di quegli insegnamenti teorici.
Ludwig von Mises – Human action – (pag. 12 e 14 e 99 – 101 e 117 – 118)
Noi chiamiamo appagamento o soddisfazione lo stato di un uomo che non è e non può essere il risultato di qualsiasi azione. L’uomo agente è desideroso di sostituire uno stato meno soddisfacente della propria condizione con uno più soddisfacente. La sua mente immagina una condizione che gli sembra migliore e la sua azione cerca di raggiungere quello stato desiderato. Lo stimolo che spinge un uomo ad agire è sempre un certo grado di insoddisfazione. Un uomo perfettamente felice della sua condizione non ha nessun incentivo a cambiare le cose. Non dovrebbe avere né volontà né desideri. Dovrebbe essere perfettamente felice. Non agirebbe, vivrebbe semplicemente libero da ogni interesse. Ma per portare un uomo all’azione, il disagio, e l’immagine di una condizione più piacevole, da soli non sono sufficienti. E’ richiesta una terza condizione. Che l’aspettativa del comportamento ipotizzato abbiano effettivamente il potere di rimuovere o almeno alleviare lo stato di disagio. In assenza di tutte queste condizioni nessuna azione è praticabile. L’uomo deve accedere all’inevitabile. Deve sottomettersi al destino. Queste sono le condizioni generali dell’azione umana. L’uomo è quel vivente che si sottopone a queste condizioni. Lui non è solamente homo sapiens, non meno di quanto sia homo agens… La mente umana non è semplicemente una tabula rasa dove gli accidenti esterni scrivono la loro storia. Essa è fornita di una serie di strumenti per cogliere la realtà. L’uomo acquisisce questi strumenti, come ad esempio la struttura logica della sua mente, nel corso della sua evoluzione, dall’amebe allo stato presente. Ma questi strumenti sono logicamente a priori di ogni esperienza. L’uomo non è un animale completamente soggetto ai propri istinti che determinano per intero le circostanze della sua esistenza. Lui è anche un essere agente. E la categoria dell’azione è logicamente antecedente a ogni concreto atto. Il fatto che l’uomo non abbia il potere creativo di immaginare categorie o varianti, alle fondamentali relazioni logiche e ai principi della causalità e della teleologia, ci conforta in merito a quello che abbiamo chiamato apriorismo metodologico…
… La nozione di cambiamento implica la nozione di sequenza temporale. Un rigido eterno universo immutabile dovrebbe essere fuori dal tempo, vale a dire dovrebbe essere morto. Il concetto di cambiamento e quello di tempo sono inseparabilmente uniti insieme. La tendenza ad agire e il cambiamento sono pertanto parte di un ordine temporale. La ragione umana non è neanche in grado di concepire un’idea di un’esistenza senza tempo e un’azione senza tempo. Colui che agisce distingue il tempo prima dell’azione, il tempo assorbito dall’azione e il tempo dopo che l’azione è finita. Non si può essere neutrali al passare del tempo. La logica e la matematica esprimono un sistema ideale di pensiero. Le relazioni e le implicazioni dei loro sistemi sono interdipendenti e interconnessi. Noi possiamo ben dire che sono sincronici o fuori dal tempo. Una mente perfetta può cogliere quei sistemi con un unico pensiero. L’incapacità dell’uomo di coglierli per intero può indurlo all’azione, passando un po’ alla volta da uno stato insoddisfacente di minor comprensione ad uno stato di maggior soddisfazione e di miglior comprensione di quei sistemi. Ma l’ordine temporale con cui si è acquisita la conoscenza non deve essere confuso con la logica simultanea che compone tutte le parti di un sistema deduttivo. Dentro a quest’ultimo la nozione di anteriorità, di conseguenza, sono semplici metafore. Non si riferiscono al sistema, ma alla nostra azione, al nostro sforzo per comprenderlo. Lo stesso sistema non implica né la categoria di tempo né la categoria di causalità. Ci sono funzioni corrispondenti tra gli elementi, ma non c’è una causa né un effetto. Ciò che distingue in termini epistemologici il sistema prasseologico dal sistema logico, è precisamente che il primo implica tanto la categoria del tempo che quella della causalità. Il sistema prasseologico è però comunque aprioristico e deduttivo. Come sistema stesso è fuori dal tempo. Ma il cambiamento è uno dei suoi elementi costitutivi. La nozione di “prima” di “dopo”, di “causa” e di “effetto” sono entrambe parte costituente del sistema. Anteriorità e conseguenza sono concetti essenziali del modo di ragionare prasseologico, come lo è l’irreversibilità degli eventi… l’uomo è sottoposto al passaggio del tempo. Vive nel mondo, cresce, diventa vecchio e muore. Il suo tempo è limitato. Lui lo economizza come economizza tutte le risorse scarse. Il risparmio del tempo, vista l’univocità e l’irreversibilità dell’ordine temporale, è un carattere imprescindibile della vita umana. L’importanza di questa condizione si manifesta in ogni parte della teoria dell’azione…
… La conoscenza prasseologica rende possibile la predizione con certezza apodittica il risultato dei vari modi d’agire. Ma ovviamente, questo tipo di predizioni non ci dicono nulla in merito a quantità determinate. I problemi di natura quantitativa nel campo dell’azione umana, non apportano alcun contributo alla comprensione del fenomeno. Noi possiamo prevedere, come sarà mostrato dopo, a parità di altre condizioni, che la caduta della domanda di un bene determinerà una caduta del prezzo. Ma non potremo mai prevedere l’estensione della caduta del prezzo. A questa domanda si potrà rispondere solo attraverso la comprensione. La fondamentale mancanza, implicita in qualsiasi approccio quantitativo all’economia, consiste nell’aver omesso il fatto che non ci sono relazioni costanti tra quelli che chiamiamo gli indicatori economici. Non c’è né costanza né continuità nella valutazione e nella formazione del tasso di scambio tra i vari beni. Ogni nuovo dato produce una ri-determinazione dell’intero sistema dei prezzi. La comprensione, cercando di afferrare ciò che passa per la testa degli uomini, significa farsi carico del problema della previsione delle condizioni future. Noi possiamo considerare questo metodo non soddisfacente, e i positivisti arrogantemente lo denigrano. Ma questo giudizio arbitrario non può oscurare il fatto, che la comprensione è l’unico metodo appropriato, per affrontare l’incertezza delle condizioni future.
Ludwig von Mises – The ultimate foundation of economic science – (pag. 45 – 46)
Il termine speculazione viene originariamente impiegato per valutare ogni tipo di meditazione e formazione delle opinioni. Oggi è impiegato con un marcato connotato dispregiativo da quegli uomini, nella capitalistica società di mercato, che eccellono nell’anticipare le reazioni dei loro simili in termini di comportamento medio. La ragione di questo uso semantico deve essere vista nell’incapacità dell’uomo comune ad affrontare le incertezze del futuro. Queste persone sbagliano nella comprensione che tutte le attività produttive sono volte a soddisfare i desideri futuri più urgenti, e che oggi non c’è nessuna certezza disponibile in relazione alle future condizioni. In tutti gli scritti degli autori socialisti non c’è la benché minima allusione al fatto che il maggior problema nel condurre un’attività produttiva risiede proprio nell’anticipare la futura domanda dei consumatori. Ogni azione è una speculazione, ossa guidata da una determinata opinione concernente le incerte condizioni future. Persino nell’attività a breve termine questa incertezza prevale. Nessuno può sapere se alcuni fatti inaspettati renderanno vane tutto quello che si era previsto per i prossimi giorni o per le prossime ore.
Ludwig von Mises – Epistemological problems of economics – (pag. 133 -135)
Persino negli inconsci comportamenti apparentemente insensati di uno psicopatico c’è un significato, nel senso che c’è una propensione a fini e obiettivi. Ogni cosa che diciamo a proposito dell’azione è indipendente dai motivi che la causano e dagli obiettivi verso cui tende quel caso individuale. Non fa nessuna differenza se l’azione scaturisce da motivi egoistici o altruistici, nobili o spregevoli, se è diretta a conseguire scopi materialistici o idealistici; se è cresciuta da estenuanti e coscienziose deliberazioni, o seguendo impulsi o passioni fuggevoli. Le leggi della catalitica esposte dall’economia sono valide comunque per ogni genere di scambio, sia che questi implichino atti saggi o meno, per motivi economici o non economici. Le cause dell’azione e gli obiettivi verso cui tende sono informazioni per la teoria dell’azione, in base alla loro concreta configurazione dipende il corso assunto dall’azione nei casi individuali, ma per la natura dell’azione non cambia nulla. Queste considerazioni hanno un evidente peso nella diffusione delle tendenze irrazionali presenti nella nostra epoca. Il concetto di razionale e irrazionale non sono semplicemente applicabili ai fini…
… Questo problema è stato approntato in due modi differenti, ognuno dei quali necessariamente ha reso considerevolmente più difficile la situazione. L’economia classica non è stata in grado di superare la difficoltà posta dal paradosso del valore. Ha costruito la sua teoria del valore e della formazione del prezzo sulla base del valore di scambio e partendo dall’azione dell’uomo d’affari, perché non è stata in grado di basare il suo sistema sulle valutazioni dei consumatori marginali. La condotta specifica dell’uomo d’affari è diretta verso l’ottenimento del più alto profitto possibile. Da quando l’economia classica ha guardato a questo fenomeno come l’essenza della condotta economica, questa ha dovuto distinguere tra azione economica e azione non economica. Non appena si è passati alla teoria soggettiva del valore, questa distinzione, poiché contraddice le basi teoriche dell’intero sistema, non poteva che risultare completamente inservibile e pertanto totalmente assurda. Ovviamente, è servito un po’ di tempo prima che tutto ciò venisse riconosciuto…Due proposizioni seguente alla teoria soggettiva del valore che rendano una precisa separazione tra ciò che è “economico” e ciò che è “non economico”, come voleva la vecchia teoria classica, risulterebbero completamente inservibili. Innanzitutto, la consapevolezza che i principi dell’economia sono la base fondamentale di tutte le azioni razionali, e non una particolare aspetto di un certo tipo di azioni razionali. Tutte le azioni razionali sono pertanto atte ad economizzare. Secondariamente c’è la piena comprensione che ogni azione cosciente, ossia significativa, è un’azione razionale. Solo gli ultimi obiettivi – valori o fini – a cui l’azione tende sono al di là della razionalità, e in verità sempre e senza eccezione lo devono essere. Non è più a lungo compatibile con il soggettivismo equiparare razionale e irrazionale con obiettivamente praticabile e obiettivamente impraticabile. Non è altrettanto permesso più a lungo distinguere tra azione “corretta” vale a dire “razionale”, da una azione “scorretta”, ad esempio un’azione deviata per incomprensione o ignoranza o negligenza nell’impiego dei migliori mezzi per raggiungere i fini cercati… La barriera che separa l’azione economica dall’azione non economica non deve essere cercata nel perimetro dell’azione razionale. Questa coincide sulla linea che separa l’azione dalla non azione. L’azione si svolge solo dove le decisioni sono state prese, dove esiste la necessità di scegliere tra diversi obiettivi, perché non tutti possono esse perseguiti nello stesso tempo. Gli uomini agiscono perché sono soggetti al flusso del tempo. Pertanto, loro non sono indifferenti al passaggio del tempo. Gli uomini agiscono perché non sono soddisfatti e sazi e perché per mezzo dell’azione sono in grado di migliorare il loro grado di soddisfazione. Dove non sono presenti queste condizioni – come per esempio nel caso di beni gratuiti – le azioni non hanno luogo.