SCAMBIO – MONETA

SINOSSI

Lo scambio tra due soggetti presuppone la differente valutazione di uno stesso bene, dovuta al perseguimento di fini individuali volti a migliorare la singola condizione. La moneta è il mezzo che permette la comparazione di beni diversi per agevolare lo scambio, oltre a rendere possibile il calcolo economico per la produzione dei beni. Nel passaggio da scambio diretto a scambio indiretto, i fini altrui diventano mezzi di cui mi servo per raggiungere il mio fine. Produco miele cerco un aratro, anziché puntare sul meno probabile scambio diretto dei due beni, mi procuro scambiando il mio miele un bene intermedio che so apprezzato dai più, supponiamo una mucca, per raggiungere con maggiori probabilità il mio fine, l’aratro. Quando il bene intermedio è diventato attraverso l’esperienza il bene di scambio per eccellenza, la moneta, il grande vantaggio è stato proprio che: ognuno ha potuto più liberamente perseguire il proprio fine; ma ha anche reso più agevole agli altri il perseguimento di loro fini non solo senza conoscerli ma anche senza approvarli. Alterare il tratto soggettivo dello scambio attraverso l’imposizione di prezzi da parte di gruppi organizzati, o con l’emissione di moneta o di debito da parte dello stato, significa minare le condizioni dello scambio e mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della società. Serve un governo della legge e non il totale arbitrio di mutevoli governi – seppur con le necessarie flessibilità – nella gestione della massa monetaria e dei tassi di cambio che regolano i rapporti tra i vari paesi. Questo permette allo scambio di rimanere un mezzo collettivo e impersonale, cresciuto in modo non intenzionale sotto la spinta al soddisfacimento di fini individuali, così la “comunità” da piccola e chiusa si è fatta “società” Aperta e Grande.

 

CITAZIONI

Carl Menger – Principi fondamentali dell’economia -(pag. 189 – 190)

Riassumendo, perveniamo al seguente risultato: il principio che conduce gli uomini allo scambio non è altro che quello che li guida nella loro intera attività economica, ossia l’aspirazione a soddisfare i loro bisogni nella maniera più completa possibile. Il piacere che gli uomini provano nello scambio economico di beni è la stessa gioia che in generale essi provano quando, per un qualsiasi evento, si giunge a provvedere alla soddisfazione dei loro bisogni meglio di quanto sarebbe avvenuto se quell’evento non fosse accaduto. Tuttavia, questo risultato è come abbiamo visto collegato, riguardo al reciproco trasferimento di beni, a tre premesse: a) si devono trovare a disposizione di un soggetto economico quantità di beni che per lui hanno un valore minore rispetto ad altre quantità di beni in possesso di un altro soggetto economico, mentre per quest’ultimo è valido, nella stima degli stessi beni, il rapporto opposto; b) entrambi i soggetti economici devono essere divenuti consapevoli di tale rapporto; c) essi devono essere in grado di portare effettivamente a compimento lo scambio di beni. Se anche una sola di queste tre condizioni manca, vengono a mancare anche i fondamenti di uno scambio economico, ed esso è perciò escluso, dal punto di vista economico, per i relativi soggetti e beni.

Ludwig von Mises – Human action – (pag. 204 e 234)

La base della moderna economia è la consapevolezza, che proprio nella diversità di valutazione applicata agli oggetti di scambio, risiede la proprietà dei medesimi di essere scambiati. Le persone acquistano e vendono solo perché valutano le cose cedute meno rispetto a quelle ricevute. Pertanto, la nozione di misurazione del “valore” è vana. Qualsiasi operazione di scambio non può mai essere preceduta né accompagnata da qualche processo chiamato “misurazione del valore”. Un individuo che valuta due cose alla stessa maniera non compie alcuna operazione di scambio. Ma se c’è una diversità di valutazione l’unica cosa che si può dire: che l’oggetto A è ritenuto di maggior valore e pertanto preferito rispetto all’oggetto B. Qualità e valutazione sono quantità intensive (ordinali: primo, secondo, ecc.), e non quantità estensive (cardinali: uno, due, ecc.). Non sono intellettualmente afferrabili attraverso l’applicazione di numeri cardinali (aritmetica)… La catalattica (scambio) è l’analisi di quelle azioni condotte sulla base del calcolo monetario. Scambio nel mercato e calcolo monetario sono inseparabilmente collegate tra loro. Un mercato dove vi sia uno scambio diretto (baratto) è semplicemente una costruzione immaginaria. In altre parole, la moneta e il calcolo monetario sono la condizione per l’esistenza del mercato.

Carl Menger – Sul metodo delle scienze sociali – (pag. 160 – 161)

Questo fenomeno si spiega in base alla seguente osservazione. Fino a quando in un popolo domina il mero baratto, i singoli individui economici perseguono in modo naturale, nelle loro operazioni di scambio, lo scopo di scambiare beni superflui con beni di cui hanno un immediato bisogno, e di rifiutare quelli di cui non hanno affatto bisogno, o che possiedono già in quantità sufficiente. Perciò, chiunque porta sul mercato il proprio superfluo, che è in grado di scambiare con beni desiderati, deve non solo trovare qualcun altro che abbia bisogno delle sue merci, ma che nello stesso tempo offra anche in cambio i beni che egli desidera. E’ questo fatto a creare un così grande ostacola alla circolazione dei beni sotto il dominio del puro baratto, e che lo limita entro stretti confini. Per eliminare questo inconveniente, che pesava fortemente sulla circolazione dei beni, esisteva già in quella situazione un mezzo molto efficace. Ognuno poteva facilmente osservare che per certe merci, ossia per quelle che corrispondevano a un bisogno molto diffuso, esisteva sul mercato una domanda maggiore che per le altre. Perciò ciascuno trovava, fra coloro che desideravano le merci più richieste, qualcun altro che offrisse quella determinata merce che egli chiedeva più facilmente che se avesse portato al mercato merci meno richieste. Per esempio, in un popolo nomade ciascuno sa per esperienza che se porta al mercato capi di bestiame, fra le molte persone che cercano di scambiare questo bene troverà più facilmente chi gli offra i beni che desidera, piuttosto che se portasse un’altra merce che ha soltanto una piccola cerchia di acquirenti. Perciò, a colui che aveva portato al mercato beni non facilmente smerciabili veniva spontanea l’idea di scambiarli non con beni di cui aveva bisogno ma, se essi non erano immediatamente ottenibili, con altri di cui non aveva bisogno ma che erano più smerciabili dei suoi. Così egli non raggiungeva immediatamente lo scopo dell’operazione economica progettata (lo scambio dei beni a lui necessari!), ma ciò nonostante vi si avvicinava notevolmente. L’interesse economico dei singoli individui economicamente agenti li porta di conseguenza, con una conoscenza maggiore del proprio interesse individuale e senza alcuna convenzione, costrizione legislativa e persino senza alcuna considerazione dell’interesse pubblico, a cedere le proprie merci con altre più smerciabile anche quando non ne hanno un immediato bisogno, e a scegliere in cambio, com’è facilmente dimostrabile, quelle più adatte a servire da mezzo di scambio nella maniera più comoda ed economica. Così, sotto il potente influsso della consuetudine, ci appare il fenomeno (osservabile dovunque si stia sviluppando una cultura economica) per cui un certo numero di beni, ossa quelli più richiesti, più trasportabili, più durevoli e più facilmente divisibili nella configurazione spazio-temporale data, vengono accettati da chiunque nello scambio, e perciò possono essere scambiati con qualsiasi altra merce. I nostri predecessori chiamarono tali beni denaro (Geld) dal verbo “aver valore” (gelten), cioè offrire una prestazione (leisten), “pagare” (zahlen). L’importanza della consuetudine per la nascita del denaro diviene palese immediatamente se si osserva il processo, appena delineato, attraverso il quale certi beni si trasformano in denaro. Lo scambio di merci meno richieste contro merci più richieste, durevoli, divisibili, ecc., ha il suo fondamento nell’interesse economico di ogni singolo individuo economicamente agente. Ma la conclusione effettiva dell’operazione di scambio presuppone la conoscenza di questo interesse da parte degli attori economici che dovrebbero accettare, in forza di quelle caratteristiche, un bene per loro forse del tutto inutile di per sé in cambio della propria merce… E’ chiaro piuttosto che potremo comprendere appieno l’origine del denaro soltanto se impareremo a intendere questa istituzione sociale come il risultato irriflessivo, ossia come la risultante non prevista, di attività specificamente individuali dei membri di una società.

Ludwing von Mises – Socialismo – (pag. 141 – 142)

In un’economia di scambio il valore di scambio oggettivo dei beni diviene l’unita di calcolo economico. Ciò porta a un triplice vantaggio. In primo luogo rende possibile basare il calcolo sulle valutazioni di tutti i partecipanti agli scambi. Il valore di un soggetto di un individuo, in quanto è un fenomeno puramente individuale, non è immediatamente confrontabile col valor d’uso soggettivo di altri. Diventa tale solo come valore di scambio, che nasce dal gioco soggettivo delle valutazioni reciproche di tutti coloro che acquistano e vendono. In secondo luogo, il calcolo basato sul valore di scambio fornisce un controllo sul conveniente impiego degli strumenti di produzione. Chiunque desideri calcolare il costo di un complicato processo di produzione può riconoscere immediatamente se lavora più economicamente di altri, o no. Se riferendosi ai prezzi correnti sul mercato, non riesce a produrre con profitto, ha la prova che altri sanno fare un miglior uso dei beni di ordine superiore che egli impiega. Infine, il calcolo basato sui valori di scambio rende possibile ridurre i valori a una sola unità. E poiché i beni sono mutuamente sostituibili secondo i rapporti di scambio esistenti sul mercato, qualunque bene può essere scelto come unità. In una economia di mercato il bene scelto è la moneta. I calcoli monetari hanno i loro limiti. La moneta non è una misura del valore e neppure del prezzo. Né il valore né il prezzo vengono misurati in moneta. Essi semplicemente consistono di moneta. La moneta quale bene economico non ha un valore stabile, come è stato assunto ingenuamente ma erroneamente da coloro che l’hanno presentata quale uno standard per i pagamenti differiti. La relazione di scambio tra moneta e beni è soggetta a costanti fluttuazioni – anche se normalmente non troppo violente – derivanti non soltanto dal lato degli altri beni economici, ma anche dal lato della moneta. Tuttavia, queste fluttuazioni disturbano il calcolo del valore solo in minimo grado, dato che di solito, in vista delle continue modificazioni degli altri dati economici, questi calcoli abbracciano solo periodi di tempo relativamente brevi: periodi in cui almeno normalmente, la moneta “sana” non cambia il suo potere d’acquisto in maniera apprezzabile. Le deficienze del calcolo monetario non nascono principalmente dal fatto che il valore viene calcolato in termini di un mezzo universale di scambio, cioè la moneta; ma dal fatto che in questo sistema il calcolo è basato sul valore di scambio e non dal valor d’uso soggettivo. E’ impossibile pertanto integrare nel calcolo quegli elementi determinati il valore che sono fuori dalla cerchia dello scambio. Se, per esempio, si dovesse calcolare il rendimento di una centrale elettrica, non si potrebbe includere nel calcolo la bellezza naturale della cascata d’acqua che il progetto di costruzione sacrificherebbe, salvo il caso che si potesse tener conto della diminuzione del movimento turistico o di altri mutamenti del genere, valutabili in termini di moneta.

Friedrich A. von Hayek – Legge, legislazione e libertà – (pag. 316 -317)

Si rimprovera spesso alla società e al suo ordine di mercato di non avere un ordine riconosciuto di fini. Tuttavia, questo è proprio il grande merito, che rende possibile la libertà individuale e tutti i suoi valori. La scoperta che gli uomini potevano vivere insieme pacificamente e arrecarsi mutualmente benefici senza doversi accordare sugli scopi specifici che individualmente perseguono, portò alla creazione della Grande società. Si scoprì che, sostituendo norme astratte di condotta a fini concreti e obbligatori, era possibile estendere la pace al di là di piccoli gruppi perseguenti gli stessi fini, poiché si permetteva ad ogni individuo di trarre vantaggi dalle capacità e dalle conoscenze di altri che egli non aveva neppure bisogno di conoscere, e i cui scopi potevano essere completamente diversi. Il passo decisivo che rese possibile tale collaborazione politica, in assenza di scopi comuni, fu l’adozione del baratto o scambio. Si riconobbe, semplicemente, che persone diverse facevano usi diversi della stessa cosa e che spesso entrambi ne traevano beneficio, ottenendo il bene che l’altro possedeva e dando in cambio ciò di cui l’altro aveva bisogno. Tutto quello che era necessario perché ciò avvenisse era il riconoscere norme che determinassero il possesso, e il trasferimento della proprietà mediante consenso. Non era necessario che le parti fossero d’accordo sullo scopo della transazione. Ed è proprio questa la caratteristica di tali scambi: essi servono i propositi diversi e indipendenti che le parti hanno nella transazione, servendo in tal modo da mezzo per fini diversi. In effetti, maggiore è la diversità tra i fini, maggiore sarà il beneficio che le parti potranno trarre dallo scambio. Mentre all’interno di una organizzazione i diversi membri si assistono reciprocamente nella misura in cui perseguono gli stessi fini, in una catalassi essi sono indotti a contribuire ai bisogni degli altri senza curarsi di loro, e persino senza conoscerli. Infatti, nella Grande società tutti contribuiscono non solo al soddisfacimento di bisogni che non si conoscono, ma, a volte, persino al raggiungimento di fini che, se conosciuti, sarebbero da essi disapprovati. E’ un fatto a cui non si può ovviare, poiché non si conosce l’uso che verrà fatto dei beni e dei servizi che forniamo agli altri. Il fatto che si collabori alla realizzazione degli scopi degli altri, senza condividerli o senza neppure esserne a conoscenza, solamente per poter raggiungere i propri fini, è alla base della forza della Grande società.

Ludwig von Mises – Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione – (pag. 57)

L’aspetto centrale del problema economico della moneta è il valore di scambio oggettivo della moneta, comunemente definito potere d’acquisto della moneta. Questo è il punto di partenza obbligatorio di ogni argomentazione, dato che le peculiari proprietà della moneta che l’hanno differenziata dai beni, si manifestano soltanto in connessione con il suo valore di scambio oggettivo. Questo non implica che nella teoria della moneta il valore soggettivo sia meno importante che altrove. Le valutazioni soggettive degli individui sono alla base della valutazione economica della moneta come degli altri beni, e queste valutazioni soggettive, sia nel caso della moneta sia nel caso di altri beni economici, derivano in definitiva dall’importanza attribuita a un bene o a un insieme di beni quale condizione necessaria per l’esistenza di un’utilità, dati certi obiettivi finali da parte di un qualsiasi individuo. Ad ogni modo, mentre l’utilità degli altri beni dipende da certi fattori esterni (il valore d’uso oggettivo del bene) e da certi fattori interni (la gerarchia dei bisogni umani) ossia da condizioni che non appartengono affatto alla categoria dell’economia, ma che sono in parte di natura tecnologica e in parte di natura psicologica, il valore soggettivo della moneta è condizione del suo valore di scambio oggettivo, ossia di una categoria che rientra nel campo dell’economia. Nel caso della moneta valor d’uso soggettivo e valore di scambio soggettivo coincidono. Entrambi derivano dal valore di scambio oggettivo, dato che la moneta non ha altra utilità che quella derivante dalla possibilità di ottenere in cambio altri beni economici. E’ impossibile concepire una qualche funzione della moneta, qua moneta, che possa essere separata dalla realtà del suo valore di scambio oggettivo.

Carl Menger – Denaro – (pag. 78)

E’ del tutto evidente che il denaro, la merce che è mediatrice dello scambio dei beni, specialmente se ha assunto il carattere di mezzo di circolazione, al contrario delle merci di cui media lo scambio, normalmente rimane sul mercato mentre esse trapassano nel consumo. Ma dedurre da questo che il denaro non è una merce nel senso che qui è decisivo, è un vero e proprio fraintendimento. Molto più logico sarebbe (sotto il profilo economico!) dedurne che il denaro ha permanentemente il carattere di merce, mentre gli altri beni lo hanno solo transitoriamente, e che il denaro stesso riveste una importante funzione economica già come merce mediatrice dello scambio dei beni (già sul mercato!), mentre le altre merci normalmente procurano l’utilità inerente alla loro natura solo quando trapassano nel consumo, cessando così di essere “merce”.

Friedrich A. von Hayek – Businnes cycles part I – (pag. 283)

La vera relazione tra il concetto teorico di neutralità della moneta, e l’idea concreta di politica monetaria, è pertanto che la prima rappresenta un criterio della seconda. Il grado con il quale un concreto sistema di politica monetaria si avvicina alla condizione della neutralità è uno, forse il più importante, ma non l’unico criterio, con il quale si deve giudicare l’adeguatezza o meno di un dato modo di condurre la politica monetaria. E’ facilmente comprensibile che una distorsione relativa ai prezzi, o una sbagliata produzione dovuta ad un condizionamento monetario potrebbe essere evitata solo: primo, se l’emissione totale di moneta rimane costante, secondo, se tutti i prezzi fossero completamente flessibili, e terzo, se tutti i contratti a lunga scadenza fossero basati su una corretta anticipazione delle future fluttuazioni dei prezzi. Questo significherebbe che se la seconda e la terza condizione non sono date, l’ideale non potrà mai essere realizzato da nessun tipo di politica monetaria.

Montesquieu – Lo spirito della legge – (pag. 14)

Per togliere la fonte degli abusi, sarà ottimo, in tutti i paesi dove si desidera che il commercio fiorisca, quella legge che ordinerà di usare monete reali, proibendo le operazioni che possono mutarle in nominali. Nulla deve essere tanto esente da variazione quanto ciò che deve servire da misura comune di tutto il resto. Il commercio è di per sé assai incerto, ed è gran male se si aggiunge un nuovo elemento di incertezza a quella fondata sulla sua natura.

Friedrich A. Von Hayek – La denazionalizzazione della moneta – (pag. 21 e 23)

La situazione è molto cambiata da quando la moneta cartacea si è affermata in tutti i paesi. Il monopolio governativo sull’emissione della moneta era abbastanza dannoso quando predominava la moneta metallica. Ma esso divenne una calamità insanabile quando la moneta cartacea (o un altro genere di moneta nominale), che può fornire la migliore o la peggiore delle monete, cadde sotto il controllo politico… Un governo non dovrebbe, al pari dei singoli individui, almeno in tempo di pace, potersi appropriare di ciò che vuole ma dovrebbe limitarsi a usare mezzi messi a sua disposizione dai rappresentanti del popolo, né dovrebbe essere in grado di accrescere le sue risorse al di là di quanto il popolo gli ha consentito di avere. La moderna espansione dello stato è stata largamente agevolata dalla possibilità di coprire i deficit emettendo moneta – generalmente utilizzando il pretesto che ciò sarebbe servito ad accrescere l’occupazione – E’ forse significativo, tuttavia, che Adam Smith non menzioni il controllo di emissione di moneta fra “gli unici tre doveri che, in accordo con il sistema della libertà naturale, il sovrano deve adempiere”.

Milton Friedman – Capitalismo e libertà – (pag. 98 – 99 e 102 – 103)

Se non possiamo raggiungere i nostri obiettivi affidandoci a un gold standard realmente automatico, né concedendo ampi poteri discrezionali ad autorità indipendenti, in che modo possiamo istituire un sistema monetario che sia al tempo stesso stabile e scevro dall’irresponsabilità delle macchinazioni dei poteri pubblici, un sistema in grado di fornire un necessario quadro di riferimento monetario per un’economia basata sulla libera impresa, ma che non possa essere utilizzato come una fonte di potere per mettere a repentaglio la libertà politica e economica? Tra i metodi finora proposti l’unico promettente consiste nel cercare di essere governati dalle leggi, piuttosto che dagli uomini, promulgando regole per la condotta della politica monetaria che mettano la popolazione in condizione di esercitare su di essa il proprio controllo per il tramite delle autorità politiche elette e che il tempo stesso facciano sì che la politica monetaria non si assoggetta ai mutevoli umori delle autorità politiche… In altra sede ho esaminato in modo più approfondito il problema della regola monetaria più opportuna, di conseguenza mi limiterò a riassumere le mie conclusioni. Allo stato attuale della nostra conoscenza, mi sembra il caso di esprimere tale regola nei termini dell’andamento della massa monetaria. Al momento la mia scelta andrebbe verso una norma di legge che imponesse alle autorità monetarie di mantenere un determinato tasso di crescita di tale massa. A tale scopo, includervi nella definizione di massa monetari la moneta circolante di fuori dalle banche commerciali, oltre a tutti i depositi effettuati in esse. Inoltre, stabilire che la Federal Reserve dovrebbe far sì che l’ammontare complessivo della massa monetaria così definita salisse, mese per mese o meglio, se possibile, giorno per giorno, di un tasso annuale compreso tra il 3 e il 5 per cento. A mio avviso la definizione esatta del concetto di massa monetaria, così come il particolare tasso di crescita scelto, contano assai meno del fatto di stabilire una particolare definizione e un determinato tasso di crescita. Nella situazione attuale la regola da me proposta ridurrebbe drasticamente il potere discrezionale delle autorità monetarie, ma lascerebbe ugualmente alla Federal Reserve e al Tesoro un livello eccessivo di discrezionalità in merito alle modalità per raggiungere il tasso di crescita stabilito della massa monetaria, per la gestione del debito, per la vigilanza sulle banche via dicendo… Vorrei sottolineare che non ritengo la mia proposta rappresenti l’alfa e l’omega  della gestione delle politiche monetarie e che la regola da me adombrata sia incisa sulla pietra e valida per l’eternità. Mi sembra, tuttavia, la regola che offre maggiori garanzie di raggiungere un ragionevole livello di stabilità monetaria alla luce delle nostre attuali conoscenze.

Milton Friedman – Capitalismo e libertà – (pag. 121)

Non vi è controllo valutario o restrizione diretta agli scambi che possa permettergli di rimanere ancorata a un tasso di cambio incompatibile con la realtà economica. Di conseguenza è indubbiamente vero che un tasso di cambio flessibile è sovente associato a condizioni di instabilità finanziaria ed economica, come ad esempio gli episodi di iperinflazione o di forte inflazione che hanno contraddistinto numerosi paesi sudamericani. Da queste considerazioni è facile concludere – come molti hanno fatto – che un tasso di cambio flessibile produce instabilità. Dirsi favorevole ad un tasso di cambio flessibile non significa auspicare un tasso di cambio instabile. Quando sosteniamo un sistema di prezzi liberi, ciò non equivale a sostenere che auspichiamo un sistema i cui prezzi oscillino furiosamente. Quel che vogliamo è un sistema i cui prezzi sono liberi di variare, ma nel quale le forze che li determinano sono sufficientemente stabili da far sì che, di fatto, i prezzi oscillino entro limiti relativamente ristretti. Ciò vale anche per un sistema di tassi di cambio flessibili: l’obiettivo ultimo è un mondo i cui tassi di cambio, pur essendo liberi di variare, sono di fatto alquanto stabili giacché le condizioni e le politiche economiche di base sono stabili. L’instabilità dei tassi di cambio è un sintomo dell’instabilità della struttura economica sottostante. Eliminare tale sintomo imponendo un congelamento dei tassi di cambio non cura nessuno dei problemi di fondo e fa solo sì che venire alle prese con essi sia più doloroso.

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