LIBERALISMO – INDIVIDUALISMO

SINOSSI

Il liberalismo è l’unica filosofia sociale a rendere possibile l’individualismo, mediante un costante processo di riorganizzazione sociale volto a garantire la più ampia libertà del singolo nel perseguire i propri fini individuali. In uno stato liberale l’unico confine all’azione individuale è costituito dal medesimo diritto posto in capo ad ognuno. Il minimo comune denominatore che regola ogni organizzazione liberale, tanto in ambito politico che economico, è il concetto di limite a cui viene assoggettato ogni esercizio del potere. Il potere dello stato trova i suoi limiti nella democrazia e nello stato di diritto, che a loro volta rimangono tali fino a quando il loro potere di creare leggi non va a discapito di minoranze. In economia il potere dell’imprenditore si piega ai desideri dei consumatori, così come i profitti sono continuamente livellati verso i costi dall’azione della concorrenza. Il fine del liberalismo è il perfezionamento della persona umana, l’unicità di ogni individualità non è un dato, ma il risultato di uno sforzo costante proteso al miglioramento del singolo. Il doloroso riconoscimento attraverso l’esperienza della propria fallibilità pungola la ragione: alla critica, al dubbio, all’umiltà intellettuale, senza cui ogni tensione al perfezionamento cade nella vanità. Se manca la libertà economica non c’è neanche libertà politica, non può essere l’esempio di alcuni stoici, come lascia intendere Benedetto Croce nella polemica con Luigi Einaudi, a giustificare la tesi contraria. Quando un uomo diventa strumento o mezzo, agli ordini di una qualche organizzazione sociale atta a dirigere e determinare gli obiettivi di un’intera comunità, non solo perde progressivamente la libertà di scegliere attraverso l’azione il fine e il senso della propria esistenza, ma apre la via alla nascita dello stato totalitario.

 

CITAZIONI

Ludwig von Mises – Lo stato onnipotente – (pag. 75)

L’insegnamento essenziale del liberalismo è che la cooperazione sociale e la divisione del lavoro possono essere raggiunti solo in un sistema di proprietà privata di mezzi di produzione, cioè una società di mercato, o capitalismo. Tutti gli altri principi del liberalismo – democrazia, libertà personale dell’individuo, libertà di parola e di stampa, tolleranza religiosa, pace fra le nazioni – sono conseguenza di questo postulato basilare. Essi possono venire realizzati solo in una società fondata sulla proprietà privata. Da questo punto di vista il liberalismo assegna allo stato il compito di proteggere la vita, la salute e la proprietà dei cittadini contro l’aggressione violenta o fraudolenta. Il fatto che il liberalismo miri alla proprietà privata dei mezzi di produzione implica che esso rifiuta la proprietà pubblica dei mezzi di produzione, cioè il socialismo. Il liberalismo perciò si oppone alla socializzazione dei mezzi di produzione.

Ludwig von Mises – Liberalismo – (pag. 25)

E’ stato rimproverato in vari modi al liberalismo questo suo atteggiamento esteriore e materialistico verso la realtà terrena transeunte. Si è detto che la vita nell’uomo non si esaurisce nel mangiare e nel bere; che esistono bisogni ben diversi e più importanti di quelli elementari di nutrirsi, vestirsi e avere un tetto; che anche la più grande ricchezza terrena non potrebbe mai dare all’uomo nessuna gioia, e lascerebbe insoddisfatta e vuota la sua interiorità, la sua anima, che il più grande errore del liberalismo, insomma, sarebbe stato quello di non aver saputo offrire nulla alle più profonde e nobili aspirazioni dell’uomo. Tuttavia, i critici che dicono questo mostrano con ciò stesso di essere loro ad avere un’immagine assai riduttiva e molto materialistica di queste aspirazioni più alte e più nobili. Con i mezzi umani di cui la politica dispone si possono certamente rendere gli uomini ricchi o poveri, ma non si può mai arrivare a renderli felici e a soddisfare i loro aneliti più intimi e profondi. Qui tutti gli espedienti esteriori falliscono. Tutto ciò che la politica può fare è eliminare le cause esterne della sofferenza e della pena; può promuovere un sistema che dia pane agli affamati, vesta gli ignudi e dia un tetto ai diseredati. Ma gioia e felicità non dipendono dal nutrimento, dagli indumenti e dall’abitazione, bensì da tutto ciò che è custodito nell’interiorità di un uomo. Sì il liberalismo fissa la sua attenzione esclusivamente sui beni materiali, non perché sottovaluti i beni spirituali, ma perché è convinto che ciò che vi è di più alto di più profondo nell’uomo non possa essere assoggettato a regole esterne. Esso cerca soltanto di creare il benessere esteriore, perché sa che la ricchezza interiore, la ricchezza spirituale, non può venire all’uomo dall’esterno ma solo dalla sua interiorità.

Luigi Einaudi – Riflessione di un liberale sulla democrazia – (pag. 65 – 66)

Il liberalismo è la dottrina di chi pone al di sopra di ogni meta il perfezionamento, l’elevazione della persona umana. E’ una dottrina morale, indipendente dalle contingenze di tempo e di luogo. L’uomo libero perfetto è colui il quale, per non rinunciare alle sue idee di fronte al tiranno, si è lasciato condannare alla galera e, pur di non chiedere al tiranno di essere liberato, resta in galera. L’uomo libero è Spinoza, il quale non accetta la cattedra di Heidelberg che Carlo Luigi gli offre assicurandogli philosophandi libertatem amplissimam, perché il principe lo prega di trattare con rispetto la religione dominante e preferisce serbare ancora più ampia libertà di pensare guadagnandosi il pane col pulire i diamanti. Politicamente, il liberalismo è la dottrina la quale inculca alla minoranza il dovere di rispettare la volontà della maggioranza, tutti gli uomini avendo la stessa dignità di persona. Esso non ripugnerebbe a preferire alla major la melior pars, se fosse possibile conoscerla. Ma poiché ad accertare la qualità più alta della persona converrebbe spaccar le teste, preferisce di contarle. Ma invita la maggioranza a non attuare propositi i quali offendano profondamente la minoranza; che la vita politica non si perfeziona se il proposito della maggioranza, tradotto in legge, non sia conforme all’adesione della minoranza. La major pars, la quale ottiene, dopo una discussione, in cui ad ognuno sia stato consentito di opporre la sua ragione alla ragione altrui, l’adesione della minoranza, dimostra col fatto di essere altresì la melior pars, perché ha saputo astenersi dall’esercitare la tirannia, che è pessima quando è esercitata da una maggioranza del popolo contro i propri uguali. Il liberalismo è perciò una dottrina dei limiti; e la democrazia diventa liberale solo quando la maggioranza volontariamente si astiene dall’esercitare coazione sugli uomini nei campi che l’ordine morale insegna essere riservati all’individuo, dominio sacro alla persona. Liberale è quella democrazia che, pur potendo violarli, rispetta tali tabù, che si chiamano libertà di religione, di coscienza, di parola, di stampa, di riunione ed impone a tutte queste libertà i soli limiti esterni formali imposti dalla necessità della convivenza pacifica. Liberale è quella società politica nella quale ogni uomo può dire: “la mia casa è il mio castello e nessuno mi può strappare ad essa se non per ordine di magistrato e questo è obbligato a lasciarmi libero se, entro un tempo dato, l’accusatore pubblico non riesce a provare la mia colpa”. Liberale è quella società politica nella quale nessuno può essere privato della sua casa, della sua proprietà, senza un procedimento legale condotto in base ad una legge.

Wilhelm Ropke – Umanesimo liberale – (pag. 112 – 113)

Che cos’è il liberalismo? Esso è umanistico. Ciò significa: esso parte dalla premessa che la natura dell’uomo è capace di bene e che si compie soltanto nella comunità, che la sua destinazione tende al di sopra dell’esistenza materiale e che siamo debitori di rispetto ad ogni singolo, in quanto uomo nella sua unicità, ciò che ci vieta ad abbassarlo a semplice mezzo. Esso è perciò individualistico oppure, se si preferisce, personalistico. Ciò significa, in conformità alla dottrina cristiana per cui ogni anima umana è immediatamente dinnanzi a dio e rientra in lui come un tutto, la realtà ultima è la singola persona umana e non già la società per quanto l’uomo possa trovare il proprio adempimento soltanto nella comunità, nel suo servizio e possibilmente nel sacrificio per essa. Il liberalismo è perciò anti-autoritario. Ciò significa: malgrado sia pronto a dare a Cesare ciò che è di Cesare, si guarda bene da ogni romanticismo della comunità, che faccia dell’organizzazione statale l’oggetto di un culto mistico, una sorta di super organismo o addirittura dio, e parimenti resiste virilmente a Cesare quando questi pretende di più di quanto è suo. Il liberalismo è perciò universale. Ciò significa: in quanto umanistico, personalistico e anti-autoritario e rispetta l’uomo come tale, mentre si guarda dalla divinizzazione dello stato, si oppone all’esasperazione del patriottismo che lo trasforma in nazionalismo e quindi in machiavellismo e imperialismo.

Friedrich A. von Hayek – Liberalismo – (pag. 54 – 55)

Con la sua insistenza sul principio di una legge eguale per tutti e la conseguente opposizione ad ogni forma di privilegio legalmente riconosciuto, il liberalismo si è venuto a trovare in stretto rapporto con il movimento per la democrazia. E in effetti, nelle lotte ottocentesche per ottenere governi costituzionali, il movimento liberale e quello democratico sono stati spesso indistinguibili. Col passar del tempo, sono divenuti sempre più evidenti le conseguenze del fatto che le due dottrine sono in ultima istanza legate a problematiche diverse. Il liberalismo è interessato alla funzione del governo e, in particolare, alla limitazione dei suoi poteri. Per la democrazia, il problema centrale è quello di chi debba dirigere il governo. Il liberalismo esige che ogni potere – e quindi anche quello della maggioranza – sia sottoposto a limiti. La democrazia giunge invece a considerare l’opinione della maggioranza come il solo limite ai poteri del governo. Se si pone mente ai rispettivi opposti, la diversità tra i due principi emerge nel modo più chiaro: la democrazia si contrappone al governo autoritario, il liberalismo si contrappone al totalitarismo. Nessuno dei due sistemi esclude necessariamente l’opposto dell’altro: infatti, una democrazia può benissimo esercitare un potere totalitario ed è al limite concepibile che un governo autoritario agisca secondo principi liberali. Il liberalismo è quindi incompatibile con una democrazia illimitata, proprio come è incompatibile con ogni altra forma di governo a carattere assoluto. La limitazione dei poteri, anche di quelli dei rappresentanti della maggioranza, richiede fedeltà sia ai principi sanciti in una costituzione o accettati dall’opinione generale, sia a una legislazione realmente autolimitativa. Pertanto, seppur vero che l’applicazione coerente dei principi liberali conduce alla democrazia, è anche vero che la democrazia si manterrà liberale soltanto se la maggioranza si asterrà dall’usare il proprio potere per concedere ai propri sostenitori vantaggi particolari, benefici cioè che non possono essere tradotti in norme generali, valide per tutti i cittadini.

Ludwig von Mises – Liberalismo – (pag. 217 – 218)

L’errore più grave di cui rimase prigioniero il vecchio liberalismo fu l’ottimismo riguardo alla direzione inevitabile che avrebbe preso lo sviluppo della società. I precursori del pensiero liberale, i sociologi e gli economisti del XVIII secolo e della prima metà del XIX, e i loro seguaci, erano convinti a priori che l’umanità avrebbe progredito verso livelli sempre più alti di progresso. Essi erano anche fermamente convinti che la conoscenza razionale delle leggi fondamentali della cooperazione sociale che essi avevano scoperto sarebbe presto diventata patrimonio di tutti, e che nel futuro l’umanità si sarebbe pacificamente affratellata in un sistema fatto di relazioni sociali sempre più strette, di progressivo benessere e di livelli sempre più alti di civiltà. Nulla poteva incrinare questo ottimismo…In realtà sono stati loro a non aver mai capito due cose: primo, che la grande massa degli uomini non possiede la capacità di pensare logicamente; secondo, che alla maggior parte degli uomini, anche nell’ipotesi che conosca il valore esatto delle cose, un vantaggio particolare momentaneo apparirà sempre più importante di un maggior guadagno permanente. La maggior parte degli uomini non possiede affatto l’attitudine mentale che è necessaria per orientarsi nella complessità dei problemi della vita sociale, e non ha soprattutto la forza di volontà indispensabile a fare quel sacrificio provvisorio in cui consiste in fondo tutta l’azione sociale. Le parole d’ordine dell’interventismo statale e del socialismo, e in particolate le proposte di espropriazione parziale della proprietà privata, trovano sempre un consenso entusiastico tra le masse, che si aspettano di ricavarne un profitto immediato.

Luigi Einaudi – In lode al profitto e altri scritti – (pag. 119 e 115)

Quando il filosofo dice che la libertà morale è compatibile con qualunque ordinamento economico dice il vero per gli eroi, per i pensatori e per gli anacoreti. Costoro vivono spiritualmente e moralmente liberi in qualunque ordinamento economico anche il più conformista e mortificante. Spinoza, sfaccettando brillanti, crea in sé stesso un mondo spirituale e liberamente pensa e lega al mondo il suo pensiero. Ma il filosofo pronuncia nel momento medesimo una sentenza terribile per un’umanità composta di poveri esseri, i quali, bisognosi di essere aiutati per giungere alla conoscenza di sé medesimi, sono incolpevoli della oscurità morale in cui giacciono ed incapaci di scorgere le mille e mille fila che tolgono libertà alla loro anima. Se vi sono ordinamenti economici, come il comunismo e il capitalismo monopolistico, i quali tendono, per la indole loro propria, a ridurre gli uomini a meri strumenti, anelli minimi di una ferrea catena che lavora e produce, se questi ordinamenti tendono, per la loro stessa invincibile natura, a imprime uno stampo uniforme su tutti gli uomini a farli svegliare muovere entrare in certi luoghi di lavoro, che si direbbero di pena, alla stessa ora, a compiere i medesimi atti, perché affermare che la libertà morale può prosperare in qualunque ordinamento economico?…

…La mia tesi torna dunque sempre al medesimo punto. L’idea della libertà vive, sì, indipendente da quella norma pratica contingente che si chiamò liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti e dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di organizzazione economica adatti a quella vita libera.

Friedrich A. von Hayek – Liberalismo – (pag. 41)

Poiché soltanto il liberalismo di tipo “inglese” o evoluzionistico ha elaborato un programma politico definito con precisione, un tentativo di esposizione sistematica dei principi del liberalismo dovrà incentrarsi su di esso; menzioneremo perciò solo per contrasto le concezioni proprie della versione “continentale” o costruttivistica. Ciò comporta anche il rifiuto della distinzione fatta spesso nell’Europa continentale, ma non applicabile al tipo inglese, tra liberalismo politico e liberalismo economico (elaborata in particolare da Benedetto Croce come distinzione tra liberalismo e liberismo). Per la tradizione inglese, i due liberalismi non sono separabili. Infatti, il principio fondamentale per cui l’intervento coercitivo dell’autorità statale, deve limitarsi a imporre il rispetto delle norme generali di mera condotta, priva il governo del potere di dirigere e controllare le attività economiche degli individui. Se così non fosse, il conferimento di tali facoltà darebbe al governo un potere sostanzialmente arbitrario e discrezionale, che si risolverebbe in una limitazione della libertà di scelta degli obiettivi individuali che tutti liberamente vogliono garantire. La libertà nella legge implica la libertà economica, mentre il controllo economico rende possibile – in quanto controllo dei mezzi necessari alla realizzazione di tutti i fini – la restrizione di tutte le libertà.

Bruno Leoni – Il pensiero politico moderno e contemporaneo – (pag. 7 – 11)

La parola individualismo designa anzitutto il complesso delle dottrine (cui Hayek si ricollega) che iniziano il loro sviluppo moderno con John Locke, Bernard de Mandeville e con David Hume, per prendere pieno risalto con Josiah Tucker, con Adam Ferguson, con Adam Smith e con Edmund Burke. Nel XIX secolo, Alexis de Tocqueville e Lord Acton sono i più completi rappresentanti di questa corrente di pensiero, in quanto sviluppano i motivi più originali della filosofia politica degli Scozzesi, di Burke e dei Whigs, mentre gli economisti classici del secolo XIX, o almeno i Benthamiani e i filosofi “radicali” fra essi, cadono progressivamente sotto l’influsso di un altro “individualismo” di assai diversa origine. Quest’altro tipo di “individualismo” è rappresentato soprattutto dagli scrittori francesi e continentali: un fatto dovuto all’influsso dominante che il razionalismo cartesiano ha esercitato sull’evoluzione della cultura europea. Rappresentato da Rousseau questo “individualismo” tende, in realtà, a trasformarsi in una dottrina opposta, cioè nel socialismo e nel collettivismo, così da costituire una fonte assai importante del socialismo moderno. Come caratteristica essenziale non-razionalistica e inglese (che Hayek ritiene la sola coerente perché, a differenza della seconda, specie, razionalistica e francese, essa non sacrifica mai l’individuo), va senz’altro rilevato che l’individualismo non-razionalistico è una teoria scientifica della società prima ancora che una dottrina politica. Nel suo esame della società, questa teoria scopre che molte istituzioni (il linguaggio, i costumi, le regole spontanee della convivenza umana, il mercato) non sono riducibili ad alcun singolo piano individuale, sebbene sussistano per il concorso spontaneo, attivo e costante di innumerevoli individui… Questa teoria ha una sua particolare umiltà; essa è acutamente consapevole dei limiti della ragione umana e del potere individuale per determinare i processi della società. Essa rileva, pertanto, la spontaneità dei processi sociali, e il loro determinarsi, non già per il disegno o la volontà di un qualche singolo genio, ma per il decorso del tempo, e l’esperienza delle generazioni. Per contro, è conforme allo spirito e alla lettera dell’insegnamento di Cartesio, e dell’individualismo razionalistico che da esso trae origine, la fiducia nell’eccellenza delle opere della ragione individuale, in politica come in ogni sorte di arte e di scienza. Muovendo da questi presupposti, l’individualismo razionalistico considera l’individuo ragionevole come punto di partenza della società e delle istituzioni, concepite quali creazioni consapevoli di uno o di molti individui deliberanti: il che porta infine alla conclusione pratica che i processi sociali possono essere fatti servire a fini umani, che organizza la società sotto un piano deliberato (socialismo). Per contro, la sostanza dell’insegnamento degli individualisti del primo tipo sta (secondo l’esatto rilievo di Hayek) nel riconoscimento del fatto che la conoscenza le facoltà dell’individuo, quali che siano la potenza del suo ingegno e del suo atteggiamento morale, sono sempre limitate alla sua stretta cerchia di azione; e che pertanto a nessun individuo può essere ragionevolmente concesso, oltre l’ambito ristretto della sua conoscenza e della sua azione, di guidare coercitivamente altri individui; così come nessun individuo può essere ragionevolmente costretto a lasciarsi guidare da altri individui, o gruppi di individui, nella sfera (pur limitata) delle sue individuali conoscenze e delle sue azioni. Ciò significa che, per questa dottrina, gli individui non sono “uguali” o debbano essere “resi uguali” anzi, appunto perché diseguali, gli individui debbono essere semplicemente trattati “in modo eguale”: lasciati cioè operare liberamente ciascuno nell’ambito della propria sfera, così che ciascuno contribuisca all’organizzazione della società, trovando in essa il proprio livello. Dalla consapevolezza dei limiti della conoscenza della ragione individuale e umana, e del fatto che nessun uomo o ristretto gruppo di uomini, può conoscere tutto ciò che è noto a ognuno, l’individualismo (di tipo inglese) deriva dunque la sua più importante conclusione pratica: la necessità di limitare strettamente, nell’interesse di tutti, ogni potere coercitivo ed esclusivo. Per questa esigenza fondamentale, l’individualismo trae alcuni corollari necessari: il singolo deve avere una sfera di responsabilità sua propria, non già assegnatagli da una autorità, sotto forma di fini specifici da raggiungere, o di mezzi specifici da impegnare, ma semplicemente riconosciutagli da principi e da norme generali e formali, in base a cui l’individuo possa liberamente esercitare la propria spontanea attività e mettere a profitto le sue conoscenze. E’ inoltre interesse di un sistema individualistico di questo tipo che le regole di convivenza e dell’azione umana siano il più possibile spontanee, permanenti e inalterate: così da consentire ad ogni individuo la sicura previsione delle conseguenze delle sue azioni. Con tali regole non vanno quindi confusi in alcun modo gli ordini dell’autorità, necessariamente mutevoli con il mutare degli individui che governano, e dei particolari scopi, pur sempre individuali, che essi si prefiggono. Per contro, l’individualismo razionalistico è portato a concepire la sfera individuale come il risultato di una assegnazione coattiva, puntuale, deliberata e programmata, a ogni individuo, di mezzi e di fini (donde, ad esempio, l’idea dell’”uguaglianza delle basi di partenza” e, in definitiva, la negazione della libera disponibilità dei beni da parte degli individui); questa dottrina tende quindi a concepire la società come il prodotto attuale, o almeno attuabile, di un piano elaborato da un individuo, o da un gruppo di individui consapevolmente deliberanti, e dotati di un potere coercitivo per mettere in opera il piano.

Ludwig von Mises – I fallimenti dello stato interventista – (pag. 107 – 108)

L’economia politica porta necessariamente al liberalismo, giacche da una parte mostra che, nella società basata sulla divisione del lavoro, esistono soltanto due opposte possibilità per dare soluzione al problema della proprietà: la proprietà private e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione; e che pertanto la presunta soluzione intermedia della proprietà “regolata” o è un controsenso, perché non realizza i fini intenzionalmente perseguiti e provoca soltanto disfunzioni nel processo di produzione capitalistico, oppure deve essere spinta fino alla socializzazione integrale dei mezzi di produzione. Dall’altra parte, l’economia politica mostra – ma questa acquisizione teorica è soltanto una conquista recente – che una società fondata sulla divisione del lavoro e sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione non è in grado di sopravvivere, per il semplice fatto che in essa non è possibile il calcolo economico e quindi la razionalità economica. La scienza economica è pertanto un ostacolo per l’ideologia socialista e quella sindacalista che oggi imperversano in tutti o il mondo. Di qui la lotta che viene condotta dappertutto contro l’economia politica e contro gli economisti.

Ludwig von Mises – Socialismo – (pag.139 e 563)

Ogni azione razionale è in primo luogo un’azione individuale. Solo l’individuo pensa. Solo l’individuo ragiona. Solo l’individuo agisce…

…La società vive e agisce solo negli individui; essa non è niente di più che un certo loro atteggiamento. Ognuno porta sulle proprie spalle una parte della società; nessuno è sollevato dagli altri della sua parte di responsabilità. E nessuno può trovarsi un’uscita di sicurezza se la società corre verso la distruzione. Per questo, ognuno, nel suo proprio interesse, deve sentirsi vigorosamente impegnato nella battaglia intellettuale. Nessuno può starsene da parte e considerarsi come estraneo al dibattito; gli interessi di ciascuno dipendono dall’esito della battaglia. Che lo voglia o meno, ognuno di noi è tirato dentro alla grande lotta storica, nella battaglia decisiva in cui la nostra epoca ci ha gettato. Né dio né una mistica “forza della natura” hanno creato la società. Se la società continuerà a evolversi o se essa andrà in rovina è una questione che sta – nel senso in cui il determinismo causale di tutti gli eventi ci permette di parlare di libera volontà – nelle mani dell’uomo.

Ludwig von Miss – Libertà e proprietà -(pag. 25 e 31)

Il principio distintivo della filosofia occidentale è l’individualismo. Esso mira alla creazione di una sfera in cui l’individuo è libero di pensare, scegliere e agire senza essere disturbato dall’interferenza dell’apparto sociale di coercizione o oppressione, lo stato. Tutti i successi spirituali e materiali della civiltà occidentale sono la conseguenza di questa idea di libertà. La dottrina e le linee guida dell’individualismo e del capitalismo, la loro applicazione alle questioni economiche non necessitano di alcun apologeta o propagandista, I risultati parlano da soli…

…La caratteristica essenziale della società capitalistica e la sfera dell’azione che essa assegna all’iniziativa e alla responsabilità dei propri membri. L’individuo è libero finché egli non limita la libertà dei suoi concittadini nel perseguimento dei propri fini. Nel mercato, egli è sovrano come consumatore. Nella sfera politica, egli è un elettore e grazie a tale ruolo è parte del processo legislativo. La democrazia politica e la democrazia del mercato sono affini. Usando la terminologia marxiana, si dovrebbe dire: il governo rappresentativo è la sovrastruttura dell’economia di mercato, come il dispotismo è la sovrastruttura del socialismo. L’economia di mercato non è uno dei tanti sistemi possibili per realizzare la cooperazione economica fra gli esseri umani. Essa costituisce il solo strumento che permetta agli uomini di stabilire un sistema sociale di produzione a cui sia intimamente connessa la costante tendenza a servire nel migliore dei modi e al più basso costo il consumatore.

Friedrich A. von Hayek – La via della schiavitù – (pag. 106)

L’individualismo non sostiene, come spesso si è affermato, che l’uomo pensa solo a sé stesso, che è egoista o che dovrebbe esserlo. Esso semplicemente parte dal fatto indiscutibile che i limiti dei nostri poteri di immaginazione rendono impossibile includere nella nostra scala di valori più di un settore dei bisogni dell’intera società e che, dal momento che, rigorosamente parlando, le scale di valori possono esistere soltanto nelle menti degli individui, non esistono allora se non scale parziali di valori, scale inevitabilmente differenti e tra loro incompatibili. Da tale premessa, l’individualista conclude che agli individui dovrebbe essere permesso – entro determinati limiti – di seguire i propri valori e le proprie preferenze piuttosto che quelli di qualche altro; che all’interno di queste sfere i sistemi individuali di fini dovrebbero essere sovrani e non soggetti a alcuna autorità esterna. Ciò che costituisce l”essenza della concezione individualista è il riconoscimento dell’individuo come giudice ultimo dei propri fini, la convinzione che per quanto possibile le sue opinioni debbano governare le sue azioni. Una concezione del genere non esclude, ovviamente, il riconoscimento di finalità sociali, o piuttosto di una coincidenza di fini individuali tali da rendere consigliabile ai singoli un accordo per perseguirli. Ma essa limita tale azione comune ai casi in cui le vedute individuali coincidano.

1 Comments

Lascia un commento