RAGIONE – PASSIONE

SINOSSI

Soltanto l’uomo sottopone i propri istinti, le proprie passioni, al vaglio della ragione, il principio ordinatore che organizza le percezioni è anteriore all’esperienza, ma cresce e assume la forma razionale che conosciamo solo attraverso il costante apporto di nuove esperienze. Per questo l’introspezione umana pur nutrendosi del mondo esterno non è riducibile agli eventi fisici che lo caratterizzano, e alle scienze naturali che cercano di quantificarli, essa esprime una qualificazione del mondo sempre singolare. Quando parliamo di azioni razionali non intendiamo pertanto la comparazione di diverse azioni compiute da diversi individui, o dei diversi fini perseguiti dai medesimi, ma vogliamo sottolineare che ogni azione contiene un coordinamento mezzi – fini sempre significativo per il soggetto agente; in questo senso ogni azione è sempre razionale, e dovendo competere con i fini altrui in un ambiente dalle risorse limitate, è anche sempre economica. Le passioni in estrema sintesi esprimono il perenne desiderio che spinge l’uomo a migliorare la propria esistenza, o per lo meno a credere di farlo. Non siamo in grado di sottrarci all’influsso delle passioni tantomeno ci è dato di controllarle completamente, tutt’al più possiamo affidare per quanto riusciamo la direzione del loro sviluppo alla ragione, quest’ultima costituisce il più efficace mezzo per tale scopo a disposizione di ogni individuo. Elevare coscientemente la ragione, intesa come perenne correzione dei propri errori, a strumento per realizzazione delle proprie passioni, è il presupposto della morale.

 

CITAZIONI

Ludwig von Mises – Socialismo – (pag. 138 – 139)

L’azione basata sulla ragione, l’azione quindi che può essere compresa soltanto dalla ragione, conosce soltanto un fine, il maggior piacere dell’individuo agente. Il raggiungimento del piacere, l’evitare il dolore: queste sono le intenzioni. Con ciò, ovviamente, non intendiamo “piacere” e “dolore” nel senso con cui questi termini erano soliti venir impiegati. Nella terminologia dell’economista odierno il piacere è da intendersi come comprendente tutte quelle cose che l’uomo ritiene desiderabili, tutte quelle cose che egli vuole e per le quali agisce. Non vi può quindi essere più alcun contrasto tra la “nobile” etica del dovere e la “volgare” etica edonistica. Il concetto moderno di piacere, felicita, utilità, soddisfacimento, e simili, comprende tutti i fini umani, senza considerare se i motivi dell’azione sono morali o immorali, nobili o ignobili, altruistici o egoistici. In generale gli uomini agiscono soltanto perché essi non sono completamente soddisfatti. Se godessero di una felicità completa essi sarebbero senza volontà, senza desiderio, senza azione. L’azione sorge soltanto dalla necessità, dall’insoddisfazione. E’ un tendere finalizzato verso qualcosa. Il suo fine ultimo è sempre quello di uscire da una condizione che è percepita come carente: soddisfare un bisogno, raggiungere la soddisfazione, aumentare la felicità. Se gli uomini avessero tutti risorse esterne naturali a loro disposizione in una misura talmente abbondante da potere ottenere un soddisfacimento completo tramite l’azione, allora essi potrebbero usarle senza timore. Essi dovrebbero solo considerare i propri poteri e il tempo limitato a loro disposizione. Infatti, in confronto alla somma dei loro bisogni, essi avrebbero ancora soltanto una forza limitata a una durata limitata della vita. Essi dovrebbero ancore economizzare tempo e lavoro. Ma essi sarebbero indifferenti verso l’economia delle risorse materiali. Di fatto però anche le risorse materiali sono limitate, così che esse devono venire usate in modo tale che le necessità più urgenti siano soddisfatte per prime, con la spesa più bassa possibile in risorse materiali per ogni soddisfazione. Le sfere dell’azione razionale e dell’azione economica sono quindi coincidenti. Ogni azione razionale è economica. Ogni attività economica è un’azione razionale. Solo l’individuo pensa, solo individuo ragiona. Solo l’individuo agisce.

Friedrich A. von Hayek – Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee – (pag. 283)

Tutte le creature umane sono influenzate e interamente governate dalle loro passioni, quali che siano i sottili concetti di cui possiamo lusingarci; anche coloro che agiscono in conformità alla loro conoscenza, e seguendo rigidamente i dettami della ragione, sono spinti a comportarsi in tal modo da qualche passione o altra cosa che li fa agire non meno di altri che lanciano una sfida ed agiscono in modo contrario sia alla conoscenza che alla ragione, e che noi chiamiamo schiavi delle loro passioni.

Ludwig von Mises – Teoria e storia – (pag. 84 e 120)

Ma non si deve considerare la cooperazione tra gli individui di una specie biologica come un fenomeno naturale e universale. I mezzi di sussistenza sono scarsi per tutte le specie di esseri viventi. Di qui l’esistenza di una concorrenza biologica tra i membri di tutte le specie e un irriducibile conflitto di “interessi” vitali. Soltanto una parte di quelli che nascono può sopravvivere. Alcuni muoiono perché altri membri della loro specie hanno sottratto loro i mezzi di sussistenza. Una implacabile lotta per l’esistenza si svolge tra i membri di ogni specie proprio perché fanno tutti parte della stessa specie e si fanno concorrenza per le stesse occasioni scarse di sopravvivenza e di riproduzione. Solo l’uomo, grazie alla sua ragione, ha sostituito la cooperazione sociale alla concorrenza biologica…

… La struttura logica della mente impone all’uomo il determinismo e la categoria della causalità. Per l’uomo tutto ciò che avviene nell’universo è la necessaria evoluzione di forze, potenze e qualità che erano già presenti nello sconosciuto stato iniziale da cui hanno origine tutte le cose. Tutte le cose nell’universo sono interconnesse e tutti i cambiamenti sono gli effetti di forze insite nelle cose. Non può verificarsi alcun cambiamento che non sia la necessaria conseguenza di uno stato precedente. Tutti i fatti dipendono e sono determinati dalle loro cause. Non è possibile alcuna deviazione rispetto al corso necessario degli eventi. La legge eterna regola ogni cosa. In questo senso il determinismo è la base epistemologica di ogni ricerca umana della conoscenza. l’uomo non può neanche concepire l’immagine di un universo indeterminato.

Friedrich A. von Hayek – l’ordine sensoriale – (pag. 271 – 272 e 274)

Secondo la nostra teoria, gli attributi caratteristici delle qualità sensoriali, o le classi in cui vengono collocati i diversi eventi nel corso del processo percettivo, non sono attributi posseduti da questi eventi e in qualche modo “comunicati” alla mente; riteniamo, invece, che essi consistono interamente nella “differenziazione” delle risposte dell’organismo cui risulta creata la classificazione qualitativa o l’ordine di questi eventi; e sosteniamo che tale classificazione si fonda sulle connessioni istituite nel sistema nervoso da concatenazioni passate. Di conseguenza, ogni sensazione, anche la più “pura”, deve essere considerata come un’interpretazione di un evento alla luce dell’esperienza passata dell’individuo o della specie. Il processo di esperienza non ha inizio, quindi, con le sensazioni o le percezioni, ma necessariamente le precede: opera sugli eventi fisiologici e li organizza in una struttura o ordine che diviene la base del loro significato “mentale“; e la distinzione tra le qualità sensoriali, che costituiscono i soli termini in cui la mente conscia può apprendere una qualsiasi cosa del mondo esterno, è il risultato di tale esperienza pre-sensoriale. Si può esprimere questo concetto anche affermando che l’esperienza non è in funzione della mente o della coscienza, ma piuttosto la mente e la coscienza sono prodotti dell’esperienza. Pertanto è probabile che ogni esperienza sensoriale di un evento del mondo esterno possieda “attribuiti” (o sia distinta da altri eventi sensoriali in un certo modo) a cui non corrisponde nessun attributo analogo degli eventi esterni. Tali “attributi” rappresentano il significato che l’organismo ha appreso ad attribuire a una classe di eventi sulla base di associazioni passate interconnesse tra gli eventi di questa classe e certe altre classi di eventi…Il fatto che si riconosca che per la nostra comprensione dell’attività umana gli ultimi fattori determinanti che possiamo afferrare dovranno sempre rimanere le entità mentali a noi familiari (“attributi”), e che non abbiamo esperienza di sostituirli con fatti fisici, riveste evidentemente la massima importanza per tutte le discipline che si propongono di comprendere e di interpretare l’attività umana. In particolare, ciò comporta che gli strumenti sviluppati dalle scienze naturali al fine specifico di sostituire una descrizione del mondo in termini sensoriali e fenomenici con una descrizione in termini fisici, perdono la loro ragion d’essere nello studio dell’attività umana intellegibile. Ciò vale soprattutto in rapporto al tentativo di sostituire tutte le asserzioni di ordine qualitativo con espressioni quantitative o con descrizioni che procedano esclusivamente in termini di relazioni esplicite… Si deve perciò concludere che la mente dovrà sempre rimanere per noi un regno a sé, che ci è dato di conoscere soltanto attraverso la nostra esperienza diretta, ma che non saremo mai in condizioni di spiegare completamente o di “ridurre” a qualcosa d’altro. Pur sapendo che il genere di eventi mentali che noi esperiamo può essere il prodotto delle medesime forze che operano nel resto della natura, non saremo mai in grado di stabilire a quali eventi fisici particolari “corrisponda” un particolare evento mentale.

Karl R. Popper – Tutta la vita a risolvere problemi – (pag. 289)

Le obiezioni che sopra ho proposto contro me stresso e la mia confessione che io sono un razionalista e un illuminista avrebbero poco senso qualora, seppur brevemente, non spieghi che cosa intendo per Razionalismo e Illuminismo. Quando parlo di razionalismo, non ho in mente una teoria filosofica, come ad esempio quella di Cartesio, e soprattutto non ho in mente la credenza estremamente irrazionale che l’uomo sia un puro essere razionale. Ciò che voglio dire, quando parla di ragione e razionalismo, non è altro che la convinzione che noi possiamo imparare dalla critica dei nostri errori e dei nostri sbagli e, in particolare, dalla critica fattaci dagli altri e, infine anche dall’autocritica. Un razionalista è semplicemente una persona a cui importa più imparare che avere ragione; che è pronto a imparare da altri, non semplicemente accettando l’opinione degli altri, ma piuttosto lasciando volentieri criticare le proprie idee da altri e criticando volentieri le idee altrui. L’insistenza qui è posta sull’idea della critica o più precisamente sull’idea della discussione critica. Il razionalista autentico non crede, quindi, che egli stesso o anche qualcun altro sia in possesso della sapienza. Ma neanche crede che la semplice critica come tale ci procuri nuove idee. Egli crede, piuttosto, che solo la discussione critica ci possa aiutare a discernere, nel campo delle idee, il grano dalla pula. Egli sa certamente che l’accettazione o il rigetto di una idea non è mai un evento puramente razionale; ma crede che solo la discussione critica ci possa dare la maturità necessaria per vedere un’idea da sempre più lati e valutarla correttamente.

Friedrich A. von Hayek – La società libera – (pag. 671 – 672)

C’è però un aspetto per cui è giustificato dire che il liberale occupa una posizione a metà strada fra il socialista e il conservatore: egli è tanto lontano dal crudo razionalismo del socialista, che vuol ricostruire tutte le istituzioni sociali in base ad un modello prescritto dalla sua ragione individuale, quanto lo è dal misticismo a cui il conservatore, così frequentemente, ricorre. Quella da me indicata come posizione liberale condivide con il conservatorismo la sfiducia nella ragione: nella misura per lo meno in cui il liberale è ben consapevole che non conosciamo tutte le risposte e nella misura in cui dubita dell’esattezza delle risposte che può dare o anche della possibilità di riuscire ad averne. Egli non disdegna, inoltre, di ricorre all’aiuto di quelle istituzioni non razionali o di quelle abitudini che hanno dimostrato un qualche valore. Il liberale si distingue dal conservatore perché è pronto ad affrontare questa ignoranza e ad ammettere quanto poco sappiamo, senza rivendicare, quando la sua ragione non riesce più a trovare spiegazioni, l’autorità di sovrannaturali fonti di conoscenza. Si deve ammettere che sotto certi aspetti il liberale è fondamentalmente uno scettico – ma sembra necessario un certo grado di modestia per lasciare che gli altri cerchino a modo loro la loro felicità e per aderire coerentemente a quella tolleranza che è una delle caratteristiche essenziali del liberalismo.

Friedrich A. von Hayek – Legge, legislazione e libertà – (pag. 450 – 451)

Il comportamento razionale degli agenti non è una premessa della teoria economica, sebbene spesso sia presentato come tale. Il contenuto fondamentale della teoria è, al contrario, che la concorrenza rende necessario agire razionalmente, onde rimanere sul mercato. Essa non si basa sulla supposizione che la maggior parte o tutti i partecipanti al mercato siano razionali, ma, al contrario, sull’ipotesi che mediante la concorrenza alcuni individui relativamente più razionali costringano gli altri ad emularli per poter prevalere. In una società in cui condursi razionalmente conferisce un vantaggio, si svilupperanno man mano metodi razionali, e si propagheranno per imitazione. Non serve essere più razionale degli altri se non se ne possono trarre vantaggi. Perciò, in genere, non è la razionalità che è necessaria al funzionamento della concorrenza, ma è quest’ultima, e le tradizioni che la incoraggiano, a produrre un comportamento razionale. Generalmente, il tentativo di fare meglio di quanto si faccia normalmente è il processo in cui si sviluppa quella capacità di pensare che poi si manifesta come capacità di inventiva e di critica. Nessuna società è mai pervenuta ad una capacità di pensiero sistematico razionale, prima di aver prodotto un gruppo commerciale in cui il miglioramento degli strumenti intellettuali ha portato vantaggio al singolo. In particolare, questo deve venir ricordato a coloro che sostengono che la concorrenza non può funzionare tra gente priva di spirito imprenditoriale. Questo spirito si manifesta mediante l’unico metodo che può produrlo, e cioè lasciando che alcuni siano stimati e potenti perché hanno aperto con successo nuove vie, anche se in alcuni casi si tratta di stranieri, e lasciando libero spazio a chi è tentato di imitarli, per pochi che siano all’inizio. La concorrenza è soprattutto un metodo per educare gli spiriti: il modello di pensiero dei grandi imprenditori non esisterebbe, se non ci fosse l’ambiente in cui hanno sviluppato i loro talenti. La stessa capacità innata di pensare prenderà un orientamento completamente diverso a seconda del compito prefissato. Tale sviluppo sarà possibile solo se la maggioranza tradizionalista non ha il potere di rendere obbligatorie per tutti le usanze tradizionali che ostacolerebbero l’esperimento di nuove vie. Ciò significa che il potere della maggioranza deve essere limitato all’applicazione di quelle norme generali che impediscono agli individui di invadere i campi privati dei loro simili, e non si dovrebbe estendere alla prescrizione di quanto essi devono fare di positivo. Se si lascia prevalere l’opinione della maggioranza, o qualsiasi concezione particolare su come si debbano fare le cose, non si possono realizzare gli sviluppi che abbiamo sopra delineato, secondo i quali i procedimenti più razionali si sostituiscono gradualmente a quelli meno razionali. La crescita intellettuale della comunità si basa sull’opinione di alcuni che si diffonde gradualmente anche a scapito di chi è riluttante ad accettarla; e sebbene nessuno debba avere il potere di imporre le nuove opinioni perché le considera migliori, se il successo dimostra che sono più efficaci non si deve proteggere da un declino relativo o assoluto della sua posizione chi rimane attaccato ai vecchi sistemi. Dopo tutto, la concorrenza è sempre un processo in cui una minoranza rende necessario a una maggioranza fare ciò che quest’ultima non desidera, tipo aumentare l’efficienza, cambiare abitudini, o rivolgere un grado di attenzione e applicazione continuo e regolare al lavoro, che sarebbe inutile in un regime di non concorrenza.

Friedrich A. von Hayek – Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee – (pag. 26)

Il rappresentare un uomo come un essere che, grazie alla ragione, può sollevarsi al di sopra dei valori della propria civiltà per giudicare dal di fuori o da un punto di vista più elevato, è un’illusione. Si deve semplicemente capire che la ragione stessa fa parte della civiltà. Tutto quello che possiamo fare è mettere a confronto una parte con le altre. Anche questo processo porta a un movimento incessante che a lungo andare può trasformare il tutto. Ma non può verificarsi di punto in bianco una ricostruzione completa dell’insieme in qualsiasi stadio del processo, perché dobbiamo sempre usare il materiale che abbiamo a disposizione e che è esso stesso prodotto integrato di un processo di evoluzione.

Ayn Rand – La virtù dell’egoismo – (pag. 27 e 30 – 31)

Un “concetto” è una integrazione mentale di due o più elementi percettuali concreti, isolati da un processo di astrazione e collegati per mezzo di una definizione specifica. Ogni parola del linguaggio dell’uomo, con l’eccezione dei nomi propri, denota un concetto, un’astrazione che sta per un numero illimitato di elementi concreti di un genere specifico. E’ organizzando il suo materiale percettivo in concetti, e a loro volta i concetti in concetti sempre più ampi, che l’uomo è capace di afferrare e conservare, d’identificare e integrare una somma illimitata di conoscenze che si estendono al di là delle immediate percezioni di un dato momento. Gli organi di senso dell’uomo funzionano automaticamente; il cervello dell’uomo integra automaticamente i suoi dati sensoriali in precetti; ma il processo di integrare i precetti in concetti (ossia il processo di astrazione e di formazione dei concetti) non è automatico. Il processo di formazione dei concetti non consiste semplicemente nel cogliere poche semplici astrazioni, come: “sedia”, “tavolo”, “caldo o”, “freddo”, e nell’apprendere a parlare; consiste in un metodo per usare la propria coscienza, meglio designato dal termine “concettualizzazione”. Non è una condizione passiva di registrazione di impressioni casuali; è un processo attivo consistente nell’identificare le proprie impressioni in termini concettuali, nell’integrare ogni evento e ogni osservazione in termini concettuali, nel cogliere nel proprio materiale percettivo relazioni, differenze, analogie, e nell’astrarre tutto ciò in nuovi concetti, nel trarre inferenze, fare deduzioni, raggiungere conclusioni, nel porre nuove domande, scoprire nuove risposte, e nell’espandere sempre più la propria conoscenza. La facoltà che dirige questo processo, è la facoltà che opera per mezzo di concetti, è la ragione. Il processo è il pensiero. La ragione è la facoltà che identifica e integra il materiale fornito dai sensi. E’ una facoltà che l’uomo deve esercitare per scelta…

… L’etica non è una fantasia mistica, né una concezione sociale, né un lusso dispendioso e soggettivo, da disattivare o da scartare nelle emergenze. L’etica è una necessita oggettiva e metafisica della sopravvivenza dell’uomo, non per grazia soprannaturale né del prossimo né del vostro capriccio ma per grazia della realtà e della natura dell’uomo. Cito dal discorso di John Galt:

L’uomo è stato definito un essere razionale, ma la razionalità è una questione di scelta, e l’alternativa che la sua natura gli offre è: essere razionale o animale suicida. L’uomo dev’essere uomo – per scelta; egli deve ritenere che la sia vita sia un valore – per scelta; deve imparare a conservarla – per scelta; deve scoprire i valori che essa richiede praticare la virtù – per scelta. Un codice di valori accertati per scelta è un codice di moralità.

La norma di valore dell’etica oggettivista – la norma in base al quale si giudica ciò che è bene o male – è la vita dell’uomo, ossia ciò che è necessario per la sopravvivenza dell’uomo in quanto uomo. Poiché la ragione è il mezzo fondamentale della sopravvivenza umana, ciò che favorisce la vita di un essere razionale è il bene; ciò che la nega, vi si oppone o la distrugge è il male. Poche tutto ciò di cui ha bisogno l’uomo dev’essere scoperto dalla sua mente e prodotto dalla sua opera, i due aspetti essenziali del metodo di sopravvivenza adatti a un essere razionale sono il pensiero e il lavoro produttivo. Se alcuni uomini non scelgono di pensare, ma sopravvivono imitando e ripetendo, come animali ammaestrati, la routine di suoni e movimenti che hanno imparato dagli altri, senza mai fare uno sforzo per capire il proprio lavoro, rimane pur sempre vero che la loro sopravvivenza è resa possibile solo da coloro che hanno scelto di pensare e di scoprire i movimenti che stanno ripetendo. La sopravvivenza di questi parassiti mentali dipende dalla cieca fortuna; le loro menti non concentrate non sono capaci di sapere chi imitare, chi seguire. Essi sono gli uomini che marciano verso l’abisso, a rimorchio di qualunque distruttore che promette loro di assumere la responsabilità che essi fuggono, la responsabilità di essere coscienti. 

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