COMPETIZIONE – MERITO

 

SINOSSI

La competizione è lo strumento morale per eccellenza dell’economia di mercato. E’ il mezzo migliore per “scoprire ciò che serve” stimolando tutte le conoscenze disperse nel mercato a concorrere alla formazione dei prodotti più ambiti; pensare di conoscerne prima gli effetti e illudersi così di poterne fare a meno, è l’errore concettuale per definizione dei pianificatori di ogni tempo. La competizione costringe le imprese a lavorare nei pressi del costo per servire i consumatori più marginali, incentiva il lavoratore a specializzarsi correggendo i comportamenti socialmente meno richiesti senza alcuna coercizione, ma attraverso incentivi e disincentivi. Stimola lo scambio di beni tra i popoli e riduce le occasioni di conflitto tra i medesimi, rendendo le guerre sempre meno “redditizie”. Inoltre, competendo, si inducono gli individui a specializzarsi dove c’è maggior richiesta, selezionando e assegnando mediante quello strumento il merito di ciascuno. Così ognuno diventa imprenditore di sé stesso con le occasioni e i rischi del caso, occorre infine non dimenticare che fortuna e doti innate giocano un ruolo non meno importante nel successo individuale. Del resto sono sempre i consumatori a scegliere ciò che piace di più, e non è detto che coincida con il maggior impegno profuso per servirli. La concorrenza è anche un metro per misurare l’efficacia dell’attività legislativa dello stato: fino a quando le leggi la incentivano sono buone, laddove la frenano nascono privilegi e monopoli. Le anime belle che credono che eliminando la competizione gli uomini diventino più buoni e altruisti, dimenticano che anche negli stati più “egualitari” ci sono posizioni più ambite; la competizione è un metodo per stabilire chi le deve occupare, dove non c’è a decidere sono gli intrighi di palazzo e le relative purghe che caratterizzano da sempre tutti i regimi totalitari.

CITAZIONI

Ludwig von Mises – Human action – (pag. 338)

La competizione tra imprenditori è in ultima analisi, la competizione tra le varie possibilità offerte agli uomini per rimuovere il malessere prima possibile attraverso il consumo di beni. La decisione di un consumatore di acquistare un bene e di posticipare l’acquisto di un altro, determina i prezzi dei fattori di produzione per la fabbricazione di quei beni. La competizione tra gli imprenditori stabilisce i prezzi dei beni di consumo attraverso la formazione dei prezzi dei fattori di produzione. Essa riflette nel mondo esterno il modo con il quale il conflitto dovuto all’inesorabile scarsità dei fattori di produzione si manifesta nell’animo di ogni individuo. Rende effettiva le decisioni adottate dai consumatori su come e in che modo dovrebbero essere indirizzati i non specifici fattori produttivi e come e in che modo dovrebbe essere esteso l’utilizzo di quelli specifici. Il processo di formazione del prezzo è un processo sociale. Si determina attraverso l’interazione di tutti i componenti della società. Tutti collaborano e cooperano, ognuno attraverso il particolare ruolo che gli è stato assegnato attraverso l’organizzazione della divisione del lavoro. Competere nella cooperazione e cooperare nella competizione, tutte le persone sono impegnate alla realizzazione del risultato, vale a dire: la struttura del prezzo di mercato, l’allocazione dei fattori di produzione nelle diverse linee di desideri da soddisfare e la determinazione della parte assegnata a ognuno nel processo produttivo. Questi tre eventi non sono tre distinte situazioni. Sono semplicemente tre aspetti del medesimo indivisibile fenomeno, che la nostra analisi osserva separatamente nelle sue tre distinte componenti. Nel processo di mercato sono ottenute attraverso una singola azione. Solo le persone influenzate dall’ideologia socialista parlano di tre differenti processi per descrivere il fenomeno del mercato! La determinazione del prezzo, la direzione dello sforzo produttivo e la distribuzione.

Friedrich A. von Hayek – Legge, legislazione e libertà – (pag. 442)

La competizione negli esami, negli incontri sportivi, come anche nel mercato, ci mostrerà soltanto chi ha fatto meglio in una data occasione, ma non ci garantirà che ciascuna ha dato il meglio di sé stesso – pur fornendo essa stessa uno dei migliori sproni a cercare di raggiungere un buon risultato. Essa sarà un incentivo a fare meglio degli altri, ma se il secondo è molto lontano dal primo, costui avrà un vasto campo di possibilità entro cui decidere quanto impegnarsi. Solo se il secondo gli sta alle calcagna, ed egli stesso non sa quanto è veramente migliore, troverà necessario impegnarsi al massimo. Solo se vi è una graduazione più o meno continua delle capacità, e tutti vogliono raggiungere la posizione migliore, ciascuno è spinto a dare il meglio. La concorrenza è così, al pari degli esperimenti scientifici, prima di tutto ed essenzialmente un processo di scoperta. Nessuna teoria può renderle giustizia, se inizia con l’assunzione che i fatti da scoprire sono già noti. Non vi è un insieme predeterminato di “fatti” conosciuti o dati che saranno sempre presi tutti in considerazione. Ciò che si spera di assicurare è una procedura che, in generale, possa portare ad una situazione dove siano presi in considerazione più fatti obbiettivi potenzialmente utili di quanto possa essere fatto da qualsiasi altra procedura conosciuta. Sono le circostanze a rendere così irrilevanti, per la scelta di una politica auspicabile, qualsiasi valutazione dei risultati della concorrenza che parta dal presupposto che tutti i fatti rilevanti siano conosciuti da un’unica mente. La vera questione è come si possa giungere all’utilizzo ottimale della conoscenza, della specializzazione dell’opportunità di acquisire conoscenze disperse tra centinaia di migliaia di persone, ma non fornite a nessuno nella loro completezza. La concorrenza deve essere vista come un processo tramite cui la gente acquisisce e trasmette conoscenza; trattarla come se tutta questa conoscenza appartenesse ad una persona particolare fin dall’inizio, non ha assolutamente senso. Allo stesso modo non ha senso giudicare i risultati concreti della concorrenza in base a ciò che si sarebbe dovuto fare, così come non ha senso giudicare i risultati degli esperimenti scientifici dalla loro corrispondenza con quanto ci si attendeva.

Ludwig von Mises – Teoria e storia – (pag. 393)

La verità è che la concorrenza può esistere soltanto in una economia mutevole. La sua funzione è proprio quella di eliminare uno squilibrio e creare una tendenza verso il raggiungimento dell’equilibrio. Non può esistere alcuna concorrenza in una situazione di equilibrio statico, perché in un tale stato non esiste alcun punto in cui un concorrente possa intervenire per produrre qualcosa che soddisfa i consumatori in una maniera migliore di ciò che viene già fatto comunque. La definizione stessa di equilibrio implica che non esista da nessuna parte un’incapacità di adattamento del sistema economico e che non esista quindi alcun bisogno di agire per eliminare le incapacità di adattamento, nessuna necessità di un’attività imprenditoriale, nessun profitto e nessuna perdita imprenditoriale. E’ proprio l’assenza di profitti che spinge gli economisti matematici a considerare lo stato di equilibrio statico non perturbato come lo stato ideale, dal momento che essi sono influenzati dal pregiudizio secondo cui gli imprenditori sono inutili parassiti e i profitti sono un ingiusto guadagno. I fanatici dell’equilibrio sono anche ingannati dalle ambigue connotazioni tipologiche del termine “equilibrio” che naturalmente non ha alcun riferimento col modo in cui l’economia utilizza questa costruzione immaginaria di uno stato di equilibrio.

Frédéric Bastiat – Armonie economiche – (pag. 385)

Perciò l’interesse personale è quella indomabile forza individualistica che ci fa cercare il progresso, che ce lo fa scoprire, che ci configge il pungolo nel fianco, ma che ci porta pur anche a monopolizzare. La concorrenza è quella forza umanitaria, non meno indomabile, che strappa il progresso, a misura ch’esso si effettua, dalle mani dell’individualità per farne il retaggio comune della grande famiglia umana. Queste due forze, che si possono criticare quando le si considerino isolatamente, costituiscono nel loro insieme, per il meccanismo della loro combinazione, l’armonia sociale.

Friedrich A. von Hayek – Nuovo studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee – (Pag. 204 – 205 e 207)

Il fatto da tener sempre presente è che ogni aggiustamento economico è reso necessario da mutamenti imprevisti; e l’unica ragione per giustificare l’uso del meccanismo dei prezzi è che esso dice agli individui che quanto essi stanno facendo o possono fare è oggetto di maggiore o minore richiesta – per qualche motivo del quale essi non sono responsabili. L’adattamento dell’intero ordine di attività a circostanze mutate si basa sulla remunerazione ricavata dalle varie attività che sono cambiate, senza tener conto dei meriti o dei demeriti di chi ne è toccato. Il termine incentivo viene spesso usato a tale proposito con accezione abbastanza fuorviante, come se il problema principale fosse quello di indurre la gente a compiere sforzi sufficienti. Ma l’indicazione più importante che danno i prezzi riguarda non tanto il modo di agire, quanto cosa fare. In un mondo in continua trasformazione, anche il semplice mantenimento di un certo livello di ricchezza richiede continui cambiamenti nella direzione degli sforzi di alcuni, che si verificheranno solo se alcune attività diventeranno più remunerative ed altre meno. Con questi aggiustamenti, che in condizioni relativamente stabili sono necessarie per il solo mantenimento del flusso di reddito, non è disponibile alcun “surplus” da poter usare per risarcire chi sia stato danneggiato dal mutamento dei prezzi. Solo in un sistema in rapida crescita possiamo sperare di evitare il declino assoluto nella posizione di alcuni gruppi… Naturalmente, uno dei motivi principali del rifiuto della concorrenza è che essa non solo mostra come le cose possano essere fatte con maggiore efficacia, ma, inoltre, mette coloro che dipendono dal mercato per i loro redditi di fronte ad una alternativa di imitare i migliori o di perdere del tutto o almeno in parte il proprio reddito. La concorrenza produce in tal modo un tipo di pressione impersonale che rende necessario, per molti individui, adattare il proprio modo di vivere in un modo che nessuna deliberazione o istruzione e nessun ordine potrebbe realizzare. La direzione centralizzata al servizio della cosiddetta “giustizia sociale” può essere un lusso che le nazioni ricche possono permettersi, forse per lungo tempo, senza troppo danno per i loro redditi. Ma non è certamente un metodo con il quale i paesi poveri possano crescere il proprio adattamento a circostanze in rapido mutamento, dalle quali dipende la loro crescita.

Ludwig von Mises – Socialismo – (pag. 358 e 359)

E’ puramente una metafora chiamare la concorrenza lotta competitiva o, semplicemente, guerra. La funzione della lotta e della guerra è la distruzione; quella della concorrenza, al contrario è la costruzione. La concorrenza economica fa sì che la produzione si realizzi nel modo più razionale possibile. In questo caso, come in ogni altro, il suo compito è la selezione del migliore risultato. E’ un principio fondamentale della collaborazione sociale, che non può venire in nessun modo messo da parte… La lotta, nel senso proprio e originario del termine, è antisociale. Essa rende impossibile tra i combattenti la cooperazione, che è l’elmetto fondamentale del rapporto sociale. Dove la cooperazione nel lavoro già esiste, essa la distrugge. La concorrenza è, al contrario, un elemento della collaborazione sociale, il principio ordinatore del corpo sociale. Dal punto di vista sociologico la lotta e la concorrenza sono diametralmente opposte.

Friedrich A. von Hayek – Autobiografia – (pag. 126 – 127)

Ciò di cui state parlando non mi tocca. Vedete, voi continuate a parlare di una vecchia controversia – se lo stato debba agire o meno. Lo scopo del mio libro era quello di sostituire la vecchia, stupida e vaga idea con una nuova distinzione. Mi sono reso conto del fatto che alcuni tipi di azioni governative possono risultare estremamente pericolose. Pertanto, ho cercato di distinguere tra azioni legittime e azioni illegittime. Ed ho cercato di farlo sostenendo che, fino a quando il governo pianifica la competizione, o interviene quando e dove la competizione non riesce ad arrivare, allora non vi sono obiezioni; ma credo che tutte le altre forme di attività governativa siano estremamente pericolose.

Luigi Einaudi – Il buongoverno – (pag. 252 – 253)

Il metodo interventisti è preferito dagli uomini, la grandissima maggioranza dei quali aborre dalle iniziative, dalle responsabilità dai rischi. Su questa via regia, diritta, breve gli uomini immaginano di giungere alla felicita, al benessere al bene. Il legislatore liberista dice invece: io non ti dirò affatto, o uomo, quel che devi fare; ma fisserò i limiti dentro i quali potrai a tuo rischio liberamente muoverti. Se sei industriale, potrai liberamente scegliere i tuoi operai; ma non li potrai occupare più di tanto e tante ore di giorno o di notte, variamente se adolescenti, donne o uomini; li dovrai assicurare contro gli infortuni del lavoro, la invalidità, la vecchiaia, le malattie. Dovrai apprestare stanze di ristoro per le donne lattanti, e locali provvisti di docce e di acqua per la pulizia degli operai; osservare nei locali di lavoro prescrizioni igieniche e di tutele dell’integrità degli operai. Potrai contrattare liberamente i salari con i tuoi operai; ma se costoro intendono contrattare per mezzo di loro associazioni o leghe, tu non potrai rifiutare e dovrai osservare i patti con essi stipulati. Tu, nel vendere merci, non potrai chiedere alla stato alcun privilegio il quali ti consenta di vendere la tua merce a prezzo più alto di un qualunque tuo concorrente, nazionale o forestiero; e se, dopo accurate indagini, un tribunale indipendente accerterà che tu godi di un qualche privilegio che non sia la tua intelligenza o intraprendenza o inventività, il quale ti consentirebbe di vendere la tua merce a prezzo superiore a quello che sarebbe il prezzo normale di concorrenza, il tribunale medesimo potrà fissare un massimo, da variare di tempo in tempo, per i tuoi prezzi. E così di seguito: nel regime liberistico la legge pone il vincolo all’operare degli uomini; ed i vincoli possono essere numerosissimi e sono destinati a diventare tanto più numerosi quanto più complicata diventa la struttura economica. La legge, ossia non il governo o il potere amministrativo, bensì la norma discussa apertamente, largamente, in seguito a pubbliche inchieste, con interrogatori pubblici di tutti gli interessati e di tutti coloro i quali reputino di avere qualcosa da dire in argomento; la legge fatta osservare da magistrati ordinari, indipendenti dal governo e posti al di fuori e al di sopra dei lavori del governo. E questa non è, evidentemente, una via regia o diritta o rapida o sicura verso il benessere, verso la felicita, verso il bene. Anzi tutto il contrario. E’ via lunga, ad andate e ritorni, piena di trabocchetti e imboscate, faticosa ed incerta.

Ludwig von Mises – Burocrazia – (pag. 133)

I socialisti affermano che il capitalismo è degradante, che è incompatibile con la dignità umana, che indebolisce le capacità intellettuali dell’uomo e rovina la sua integrità morale. Nella società capitalista – essi dicono – ognuno deve considerare i suoi simili come concorrenti. Gli istinti di benevolenza e di amicizia, innati nell’uomo, verrebbero così trasformati in una lotta piena di odio e senza pietà perpetrata a spese degli altri. E tuttavia il socialismo ristabilirà le virtù della natura umana. L’amicizia, la fraternità e il cameratismo costituiranno i tratti caratteristici dell’uomo dell’avvenire. Quel che è in primo luogo necessario è l’eliminazione del peggiore di tutti i mali: la competizione. Sennonché la competizione non può mai essere eliminata. Dal momento che ci saranno sempre posizioni che gli uomini giudicheranno superiori ad altre, essi lotteranno per raggiungerle e tenteranno di superare i rivali. Importa ben poco che questo fenomeno venga chiamato rivalità o concorrenza. In ogni caso, bisogna decidere in un modo o nell’altro se un individuo debba o no ottenere la posizione alla quale aspira. Il problema sta nello scegliere il tipo di competizione che deve esistere. Il tipo di competizione capitalistica esige che uno superi gli altri sul mercato, tramite l’offerta di prodotti migliori o meno costosi. Il tipo di competizione burocratica consiste invece di intrighi alle “corti dei potenti”.

Carl Menger – Principi fondamentali dell’economia – (pag. 241)

Il monopolista aspira naturalmente a fare accedere ai suoi beni soltanto gli strati superiori della società, e ad escludere dal consumo gli strati dotati di minor potere di scambio, perché per lui è di regola più vantaggioso e più comodo ottenere grandi guadagni per piccole quantità, piuttosto che piccoli guadagni per grandi quantità. La concorrenza, che si sforza di sfruttare persino il minimo guadagno economico dovunque sia possibile, ha invece la tendenza a scendere coi beni in strati sociali tanto bassi quanto permette la situazione economica di volta in volta presente. Il monopolista regola il prezzo, o le quantità del bene di monopolio in circolazione, entro determinati limiti, e rinuncia volentieri al piccolo guadagno realizzabile con i beni destinati al consumo degli strati più poveri, per potere sfruttare meglio quelli con maggior potere di scambio. In concorrenza, invece, dove nessun singolo produttore ha autonomamente in suo potere di regolare i prezzi o le quantità di beni messi in circolazione, per il singolo concorrente è desiderabile anche il più piccolo guadagno, e non si farà mai a meno di sfruttare anche la più piccola possibilità di ottenerlo.

Frédéric Bastiat – Sofismi economici – (pag. 41)

Considerata dal punto di vista del produttore, senza dubbio la concorrenza colpisce spesso i nostri interessi individuali e immediati. Ma ponendosi dal punto di vista dello scopo generale di tutti i lavori, del benessere universale, in una parola, del consumo, si vedrà che la concorrenza compie, nel mondo morale, lo stesso ruolo di equilibrio che ha nel mondo materiale. Essa è fondamento del vero comunismo, del vero socialismo, di quell’uguaglianza di benessere e di condizioni così desiderata ai nostri giorni; e se tutti i pubblicisti sinceri, tanti riformatori di buona fede, la domandano all’arbitrio del potere, è solo perché non comprendono la libertà.

Milton Friedman – Capitalismo e libertà – (pag. 249)

Sebbene tutti, a parole, affermiamo di ammirare “il merito” e di non tenere in gran conto “il caso”, in generale siamo maggiormente disposti ad accettare le ineguaglianze derivate dalla fortuna rispetto a quelle chiaramente assegnabili al merito. Il professore universitario potrà invidiare il collega che vince alla lotteria, ma difficilmente gli serberà rancore o sentirà di aver subito un’ingiustizia. Ma aspettate che il suo collega ottenga un aumento di salario, finendo per guadagnare più di lui e molto probabilmente il nostro studioso ne sarà fortemente amareggiato. In fondo la dea fortuna, come la giustizia, è cieca, mentre l’aumento del salario del collega equivarrebbe a un giudizio deliberato sulla qualità dei due docenti.

Ludwig von Mises – Human action – (pag. 624)

Il lavoro è un fattore di produzione. Il prezzo che il venditore di lavoro può ottenere sul mercato dipende dalle informazioni provenienti dal mercato. La quantità e la qualità del lavoro che un individuo è in grado di fornire è determinata dai caratteri innati e acquisiti. Le caratteristiche innate non sono alterabili per mezzo di propositi di comportamento. Queste sono le qualità innate ereditate dagli antenati delle quali ognuno è stato dotato dal giorno della sua nascita. Può prendersi cura dei talenti ricevuti e coltivarli, può prematuramente buttarli via, non potrà mai però superare le barriere che la natura ha assegnato alla sua forza e alla sua abilita. Può essere più o meno capace di vendere il suo talento, la sua capacità di lavoro al più alto prezzo ottenibile sul mercato nelle condizioni date, ma non potrà mai cambiare la sua natura per adattarla meglio alle condizioni di mercato. Può ben dirsi fortunato se le condizioni di mercato sono tali da pagare abbondantemente i propri meriti personali, è un caso che i propri meriti i propri talenti siano altamente apprezzati dai suoi concittadini. Se la signora Garbo avesse vissuto un secolo prima avrebbe guadagnato decisamente meno dei film fatti nell’epoca in cui ha vissuto. A mio giudizio quel suo talento è in una posizione simile a quel contadino la cui fattoria è stata venduta ad un prezzo altissimo perché l’espansione della città circostante ha trasformato quel terreno da agricolo a urbano. Nei limiti stabiliti dalle proprie innate abilità, la capacità umana di lavoro può essere perfezionata dall’addestramento per raggiungere fini definiti. La persona o i suoi genitori affrontano spese per l’addestramento il cui frutto consiste nell’acquisto di competenze necessarie a raggiungere certi tipi di abilità. Quelle scuole, quei corsi intensivi, trasformano un uomo qualunque in uno specialista. Ogni corso speciale accresce le caratteristiche specifiche dell’umana capacità di lavorare. La fatica e i problemi, la disutilità per lo sforzo con il quale l’individuo si sottomette al fine di raggiungere quelle speciali abilità, la perdita di potenziali guadagni durante il periodo di addestramento, e l’esborso di denaro richiesto durante questo periodo, sono spalmati nelle aspettative di successivi e crescenti guadagni che dovranno andare a compensare gli investimenti sostenuti. Queste spese sono investimenti e come tali speculativi. Dipende dalle future condizioni di mercato se quegli investimenti verranno o meno compensati. Nell’addestrare sé stesso il medesimo lavoratore diventa uno speculatore e un imprenditore. Lo stato futuro del mercato determinerà se perdite o profitti risulteranno da questi investimenti.

Friedrich A. von Hayek – Individualismo quello vero o quello falso – (pag. 66 – 67)

E’ che qualunque attuabile ordine individualistico dev’essere concepito in modo tale, che non solo le remunerazioni relative che l’individuo può aspettarsi dal diverso impiego delle proprie capacità e risorse corrispondano alla relativa utilità attribuita dagli altri al risultato dei suoi sforzi, ma che queste remunerazioni corrispondano ai risultati oggettivi dei suoi sforzi piuttosto che ai suoi meriti soggettivi. Un mercato effettivamente competitivo soddisfa entrambe queste condizioni. Ma è in relazione alla seconda che il nostro senso personale di giustizia si ribella contro le decisioni impersonali del mercato. Eppure, se l’individuo dev’essere libero di scegliere, è inevitabile che debba correre il rischio legato alle sue scelte e che, di conseguenza, venga premiato non secondo la bontà o malvagità delle sue intenzioni, ma esclusivamente sulla base del valore per gli altri. Dobbiamo renderci conto del fatto che la preservazione della libertà individuale è incompatibile con la piena soddisfazione dei nostri punti di vista sulla giustizia distributiva.

 

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