VALORE – UTILITA’

 

SINOSSI

L’economia classica partendo dal punto di vista del produttore, cerca una misurazione oggettiva, ossia matematica, del valore; categorie quali lavoro, astinenza, rarità, sono alcuni dei tentativi fatti per determinare un criterio stabile oggettivo di misurazione del valore e leggere con quella lente l’economia di mercato. Con la rivoluzione neo-classica, preceduta tra gli altri dalle geniali intuizioni di F. Bastiat, il valore viene riportato al suo carattere totalmente soggettivo, sono le azioni di ogni individuo continuamente impegnate ad incrementare il benessere, la felicità, l’appagamento (non ha importanza la parola) del singolo, ad attribuire nel loro attuarsi diverse scale di valori ai beni prodotti per quello scopo, inoltre svolgendosi nel tempo quei valori sono mutevoli, come gli uomini, incerte nel loro risultato, come il futuro di ognuno. La legge dell’utilità marginale stabilisce che il valore di ogni bene decresce con il crescere della sua offerta e viceversa; ma questa indica solo un più e un meno, mai un’unità di misura per paragonare in termini aritmetici i valori di diversi beni o il valore di un bene per diversi individui. Certo sul mercato quei valori dei beni si esprimono con dei numeri (prezzi), ma solo dopo che il processo di selezione e scelta soggettiva di ogni individuo (consumatore) si sarà concretizzato, il produttore (imprenditore) saprà se quel prezzo contiene dei profitti o delle perdite. Il processo di matematizzazione dell’economia continuato per gran parte del Novecento anche dopo la rivoluzione neoclassica, cerca attraverso le equazioni simultanee di cacciare il “tempo”, e con esso gli individui concreti con le loro incertezze sul futuro, dall’”economia”, come del resto avevano fatto con metodi meno elaborati gli economisti classici. Nel migliore dei casi questo processo – che F. A. von Hayek ha sintetizzato nelle suggestive formule: “abuso della ragione” e “presunzione fatale” – ha ridotto l’economia ad una scienza inutile, “triste” com’ebbe a dire il reazionario Carlyle, scissa dalla vita reale delle persone; quando è andata peggio quelle analisi si sono concretizzate in sistemi totalitari, con gli uomini e le loro vite concrete ridotte a mezzi per produrre beni alieni al loro benessere individuali.

CITAZIONI

Frédéric Bastiat – Armonie economiche- (pag. 196 – 331)

Perciò in nessun’altra specie le facoltà non sono suscettibili di un così grande sviluppo come nell’uomo. Egli solo sembra comparare e giudicare; egli solo ragiona e parla; egli solo prevede; egli solo sacrifica il presente all’avvenire: egli solo trasmette di generazione in generazione i suoi lavori, i suoi pensieri e i tesori della sua esperienza, solo infine è capace di perfettibilità la cui catena incommensurabile sembra attaccare perfino al di là di questo mondo. Poniamo qui una osservazione economica. Per quanto esteso sia il dominio delle nostre facoltà esse non potrebbero mai elevarsi sino alla potenza di creare. Non appartiene all’uomo, infatti, aumentare o diminuire il numero di molecole esistenti. La sua azione si limita a sottomettere le sostanze sparse intorno a lui, a modificazioni, a combinazioni che le rendono adatte al suo uso (J.B. Say). Modificare le sostanze in modo da accrescere, per rapporto a noi, l’utilità loro, è produrre, o piuttosto è una maniera di produrre. Io ne concludo che il valore, come vedremo più tardi, non potrebbe mai essere di quelle sostanze stesse, ma nello sforzo intervenuto per modificarle, e confrontato dal cambio, ad altri sforzi analoghi. E’ la ragione per cui il valore non è che l’estimazione dei servizi cambiati, sia che la materia intervenga o non intervenga. E’ affatto indifferente, in quanto alla nozione di valore, che io renda al mio simile un servizio diretto; per esempio, facendo su di lui una operazione chirurgica o preparando per lui una sostanza curativa. In quest’ultimo caso l’utilità è nella sostanza, ma il valore è nel servizio, nello sforzo intellettuale e materiale fatto da un uomo in favore di un altro. E’ per pura metonimia che si attribuisce il valore alla materia in sé stessa, ed in questa occasione, come in molte altre, la metafora ha fatto fuorviare la scienza.

… Come produttori noi corriamo dietro al valore; come consumatori all’utilità. Questa è una cosa dell’esperienza universale. Colui che sfaccetta un diamante, che ricama merletti, che distilla liquori o coltiva papaveri, non domanda a sé medesimo se il consumo di tali cose sia bene o male inteso. Esso lavora e, purché il suo lavoro effettui un valore, questo è ciò che a lui basta. E, per dirlo di sfuggita, ciò prova che non è il lavoro che sia morale o immorale, ma il desiderio; e che l’umanità si perfeziona, non per la moralizzazione del produttore, ma per quella del consumatore… Così in qualunque punto di vista ci collochiamo, si vede che il consumo è il gran fine dell’economia politica; che il bene e il male, la moralità e l’immoralità, le armonie e le discordanze, tutto viene a risolversi nel consumatore, perché egli rappresenta l’umanità.

Carl Menger – Principi fondamentali di economia – (pag. 155)

Abbiamo già sottolineato, parlando dell’essenza del valore, che esso non è nulla di intrinseco ai beni, non è una loro qualità, ed è ancora meno una cosa a sé stante, e che nulla si oppone a che un bene abbia valore per un certo soggetto economico, ma non ne abbia alcuno per un altro in diverse condizioni. Ma anche la misura del valore è assolutamente di natura soggettiva, e un bene, a secondo delle differenze del fabbisogno e delle quantità disponibili, può avere un grande valore per un soggetto, un piccolo valore per un altro, e nessun valore per un altro ancora. Ciò che l’uno disprezza, o stima assai poco, viene ricercato dall’altro, ciò che uno abbandona viene non di rado raccolto da un altro, e mentre un soggetto economico valuta allo stesso modo una certa quantità di un bene e una quantità maggiore di un altro bene, in un altro soggetto economico si può osservare proprio il comportamento opposto. Dunque il valore è di natura soggettiva non solo per essenza ma anche per misura. I beni hanno valore sempre per determinati soggetti economici, e soltanto per essi un valore è determinato.

Eugen Bohm Bawerk -Teoria positiva del capitale – (pag. 182)

Con ciò siamo allo scopo principale della nostra ricerca. La grandezza del valore di un bene si misura secondo l’importanza del bisogno concreto o parziale meno importante tra i bisogni coperti dalla provvista totale disponibile di beni di tale specie. Il suo valore dunque non dipende dalla massima utilità che il bene potrebbe creare, e nemmeno dall’utilità media che si potrebbe attribuire a un bene della sua specie, ma dall’utilità minima al cui ottenimento esso o il suo uguale potrebbe ancora essere impiegato razionalmente nella situazione economica concreta. Per risparmiare in seguito alla diffusa descrizione – che, per essere assolutamente corretta dovrebbe essere persino ancora più diffusa – chiamiamo brevemente secondo l’esempio di Wieser utilità marginale del bene questa utilità minima al margine dell’economicamente ammissibile. La legge della grandezza del valore dei beni si esprime così nella semplicissima forma seguente: il valore di un bene si determina secondo la grandezza della sua utilità marginale. Questa preposizione è il cardine della nostra teoria del valore. Ma essa è ancora molto di più di questo. Io credo che costituisca ad un tempo la chiave che ci apre nel mondo più vasto la comprensione del comportamento pratico dell’uomo economico rispetto ai beni. Sia nei casi più semplici che in quelli complicatissimi della multiforme vita economica moderna, vediamo gli uomini valutare i beni con i quali hanno a che fare secondo la loro utilità marginale e agire in conformità di questa valutazione. E pertanto la teoria dell’utilità marginale non è soltanto il punto cardinale per la teoria del valore, ma anche per la spiegazione delle azioni economiche umane, e quindi dell’intera teoria economica.

Ludwig von Mises – Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione – (pag. 12 – 13)

Sebbene si sia soliti parlare della moneta come di una misura del valore e dei prezzi, questa è una nozione completamente errata. Nell’ambito della teoria soggettiva del valore non può porsi la questione della misurazione. Nella teoria economica più antica era in una certa misura giustificabile ricercare un principio che governa la misurazione del valore. Se, seguendo una teoria oggettiva del valore, si ammette la possibilità di una nozione oggettiva del valore delle merci, e si considera lo scambio come la consegna reciproca di beni equivalenti, ne consegue necessariamente che la transizione di scambio devono essere precedute dalla misurazione della quantità di valore contenute in ciascuno degli oggetti che devono esser scambiati. Diventa allora ovvio considerare la moneta come la misura del valore. La teoria moderna del valore ha, però, un punto di partenza diverso. Essa considera il valore come l’importanza attribuita alle singole unità di merce da un essere umano che desidera consumare varie merci, o comunque disporne, con il massimo vantaggio. Ogni transazione economica presuppone una comparazione di valori, ma la necessità, come la possibilità di questa comparazione, è data solo dal fatto che la persona coinvolta deve scegliere fra le merci… Gli atti di valutazione non sono suscettibili di alcun tipo di misurazione…Se cambia la situazione dell’individuo, cambia anche la scala di valori.

Luigi Einaudi – In lode del profitto e altri scritti – (pag. 133)

Ma basta aprire un qualunque libro elementare per apprendere che non esiste una definizione scientifica dell’utilità sociale. Basta riflettere che l’utilità sociale non è quella dei singoli individui componenti la società; che l’utilità sociale non equivale alla somma aritmetica delle utilità degli individui componenti la società, essa risulta da una combinazione chimica spirituale dalla quale nasce qualcosa che non è misurabile; che, se anche potessimo ammettere per un istante l’ipotesi assurda che l’utilità del tutto sia uguale alla somma delle utilità degli individui, noi ci troveremmo dinanzi ad uno dei più celebri pons asinorum della scienza economica. Gli inglesi l’hanno chiamato l’ostacolo del no bridge e con queste due parole si insegna nelle scuole di tutti il mondo. Non esiste ponte tra l’utilità di un individuo Tizio e quella di un altro individuo Caio. Tizio sente per il pane l’utilità 10? Ciò vuol soltanto dire che nella “sua” testa egli dà il punto 10 al pane in confronto del punto 9 che dà al bicchiere di vino od al punto 8 dato alla sigaretta. Perciò lui Tizio preferisce il pane al vino od alla sigaretta; e se ha i soldi occorrenti in tasca, compra pane e non vino e non sigarette. E’ un affare, un calcolo individuale suo; dipende dalla sua conformazione fisiologica e psicologica. Caio sente per l’identico pane l’utilità 15? anche questo è un fatto “suo”, dipende dalla stima diversa che gli fa del pane in confronto agli altri beni, i quali si offrono ai suoi sguardi in quel momento.

Ludwig von Mises – Human action – (pag. 94 – 95)

L’azione umana decide tra l’offerta di diverse opportunità di scelta. Ognuno preferisce un’alternativa ad un’altra. Si è soliti dire che l’azione umana ha una scala di desideri o di valori in mente, quando pianifica la sua azione. Sulla base di questa scala soddisfa ciò che ha maggior valore, vale a dire il desiderio più urgente, e lascia insoddisfatto ciò che ha minor valore, ossia il desiderio meno urgente. Non ci sono particolari obiezioni a questo modo di presentare l’azione umana. Comunque, non si deve dimenticare, che quella scala di valori o desideri si manifesta solo nell’azione concreta. Queste scale non hanno un’esistenza indipendente, separata dall’attuale comportamento degli individui.

Friedrich von Hayek – La presunzione fatale – (pag. 162 – 163)

Un aumento di valore è qualcosa che la legge che governa gli eventi fisici, almeno come sono compresi entro modelli materialistici e meccanicistici, non riescono a spiegare. Il valore indica la capacità potenziale, di un oggetto o di una azione, di soddisfare bisogni umani, e può essere accertato soltanto col mutuo aggiustamento attraverso lo scambio dei rispettivi tassi (marginali) di sostituzione (o di equivalenza) che diversi beni o servizi hanno per individui diversi. Il valore non è un attributo una proprietà fisica posseduta dalle cose stesse, indipendente dalla loro relazione con gli uomini, ma è soltanto un aspetto di questa relazione che rende capace gli uomini di tenere in considerazione, nelle loro decisioni circa l’uso di queste cose, la migliore opportunità che altri potrebbero ricavare dal loro uso. Un aumento di valore appare ed è rilevante soltanto rispetto agli scopi umani. Come ha chiarito Carl Menger “Il valore è l’importanza che i singoli beni o quantità di essi acquistano per noi e riconosciamo che da essi dipende la soddisfazione di un bisogno.” Il valore economico esprime soltanto una parte delle molteplici, distinte, individuali, scale di fini. Ciascun individuo ha il proprio ordine peculiare per classificare i fini che persegue. Pochi altri, se mai vi è qualcuno, possono conoscere qualcuno di questi ordinamenti individuali, ed essi non sono neppure conosciuti dallo individuo stesso. Gli sforzi di milioni di individui che si trovano in diverse situazioni, con diverse ricchezze e desideri, e hanno accesso a informazioni differenti sui mezzi, che sanno poco o niente circa i bisogni individuali l’uno dell’altro, e che mirano a diverse scale di fini, sono coordinati per mezzo dello scambio. Nel momento in cui gli individui si rapportano l’un all’altro, un sottostante sistema di una complessità di ordine superiore viene ad esistere, e viene creato un continuo flusso di beni e servizi, per un numero di individui partecipanti notevolmente alto, soddisfa le loro aspettative e i loro valori. La molteplicità di diversi ordinamenti e diversi fini produce una comune e uniforme scala di valori intermedi o riflessi dei mezzi materiali per cui questi fini concorrono. Dato che la maggiore parte dei mezzi materiali può essere usata per molti fini diversi di importanza variabile, e i diversi fini possono essere sostituiti gli uni con gli altri, i valori ultimi dei fini vengono ad essere riflessi in una singola scala di valori dei mezzi – e cioè dei prezzi – che dipendono dalla loro scarsità relativa e dalla possibilità dello scambio tra i loro possessori.

Murray N. Rothbard – Man, Economy, and State – (pag. 14 – 23)

Tutte le azioni implicano l’utilizzo di mezzi scarsi per conseguire risultati di maggior valore. All’uomo spetta la scelta di usare mezzi scarsi per vari e alternativi obiettivi, e quei fini che sceglie sono quelli che lui giudica di maggior valore. I desideri meno urgenti sono quelli che rimangono insoddisfatti. I partecipanti possono essere classificati per mezzo della loro collocazione di fini lungo una scala di valori o scala di preferenze. Queste scale sono diverse per ogni persona, sia per i contenuti che per l’ordine di preferenza. Inoltre esse si differenzia per lo stesso individuo se rilevate in un tempo diverso… Queste scale di preferenza possono essere chiamate di felicità o benessere o utilità o soddisfacimento o appagamento. Qualsiasi nome scegliamo per queste scale di valore non ha importanza. Ogni grado ci permette di dire, quando un soggetto agente ha conseguito certi fini, che ha cresciuto il suo stato di soddisfacimento, appagamento, felicità ecc. Al contrario quando il soggetto agente considera il suo stato peggiorato, o al di sotto dei fini che si attendeva di raggiungere, il suo soddisfacimento, appagamento, felicità risulta così diminuito. E’ importante comprendere che non c’è mai la possibilità di misurare la crescita o il calo di felicità o soddisfacimento. Non solo non è possibile e comparare il soddisfacimento di diverse persone; non è possibile nemmeno misurare il grado di felicità di una data persona. In un ordine dove la misurazione è possibile, ci deve essere sempre un’unità di misura fissa, eterna, data obiettivamente, con la quale si può comparare le altre unità. Non c’è un tal dato tipo di unità obiettiva nel campo della valutazione umana. L’individuo deve determinare soggettivamente se per effetto di un dato cambiamento sta meglio o peggio. La sua preferenza può essere espressa in termini di scelta o classificazione. Perciò può dire sto meglio o sono più felice perché sono andato al concerto anziché a giocare a bridge. Ma è completamente senza senso per lui cercare di assegnare un’unità di misura della sua preferenza, come a dire: sono due volte e mezzo più felice di questa scelta che se avessi giocato a bridge. Due volte e mezzo che cosa? Non c’è nessuna possibile unità di felicità da potere essere usata in termini di comparazione, e quindi da addizionare o moltiplicare. Quello stato d’animo può essere classificato solo in termini di meglio o peggio. Un uomo può sapere se sarà più o meno felice, soddisfatto, ma non quantificare la misurazione. Tutte le azioni sono un tentativo di scambiare uno stato di minor soddisfazione con uno di maggiore soddisfazione… Siamo ora nelle condizioni di completare un’importante legge indicata di sopra ma con differente terminologia: Una maggiore offerta di beni, riduce l’utilità marginale del bene; una minore offerta, ne aumenta l’utilità marginale. Questa fondamentale legge dell’economia è il derivato di un altrettanto fondamentale assioma dell’azione umana, è la legge dell’utilità marginale a volte conosciuta come legge dell’utilità marginale decrescente. Qui è necessario sottolineare che l’utilità non è una quantità cardinale soggetta a un processo di misurazione, come addizione, moltiplicazione, ecc. Ma è una classificazione numerica esprimibile solo in termini di più alto o più basso ordine nella preferenza umana.